Diritto

Buste paga gonfiate: non c’è frode se il debito è in bilancio

Secondo la sentenza 15241 della Cassazione l’iscrizione delle passività esclude il reato

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di Antonio Iorio

La corresponsione al lavoratore di somme inferiori a quelle indicate in busta paga non configura la dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di documenti per operazioni parzialmente inesistenti, se il debito residuo è riportato in bilancio. Non si è in presenza, infatti, di comportamenti fraudolenti. Lo afferma la Cassazione con la sentenza 15241/2020.

Il rappresentante legale di una società veniva condannato nei due gradi di giudizio per dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di documenti per operazioni inesistenti. Aveva versato a due dipendenti soltanto una parte della retribuzione risultante in busta paga, l’importo restante era riportato in bilancio alla voce “debiti verso dipendenti”. Le somme erano riportate per intero nel libro giornale.

Secondo i giudici di merito era configurabile il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di documenti per operazioni inesistenti (articolo 2 del Dlgs 74/2000) in ragione della obiettiva divergenza tra quanto riportato in busta paga e quanto corrisposto: il dolo specifico era rappresentato dalla consapevolezza di inserire in dichiarazione fatti parzialmente non veri desumibili anche dai modelli DM 10 riportanti maggiori oneri previdenziali detratti.

La difesa, nel ricorso per Cassazione, dopo aver rappresentato le gravi difficoltà economiche della società, evidenziava che l’elaborazione delle buste paga non sarebbero state utilizzate in sede di dichiarazione dei redditi ma soltanto in bilancio. In base alle regole contabili era stata eseguita un’imputazione per competenza e non per cassa. La buona fede si desumeva poi dall’iscrizione della somma residua in un conto del passivo intestato ai debiti verso dipendenti. Il riferimento ai modelli DM 10 sarebbe poi incongruo in quanto mai acquisiti.

Secondo la Cassazione, che ha accolto il ricorso, non emergeva l’indicazione in dichiarazione della discrasia contabile rilevata. In ogni caso, ipotizzando tale alterazione, era ascrivibile la dichiarazione infedele (articolo 4 del Dlgs 74/2000) e non, come contestato, la fraudolenta.

L’indicazione in bilancio tra i debiti verso dipendenti delle somme non corrisposte escludeva la sussistenza di un comportamento fraudolento. Le prestazioni lavorative erano state, poi, effettivamente rese e i relativi costi riportati nelle buste paga.

Circa la dichiarazione infedele (non contestata), secondo la sentenza opererebbe, nella specie, la scriminante (articolo 4, comma 1 bis del Dlgs 74/2000) in base alla quale non si tiene conto di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati indicati nel bilancio.

Si tratta di una delle prime pronunce che affronta la rilevanza penale delle divergenze tra busta paga e somma effettivamente corrisposta. Nella specie è risultata determinante l’indicazione in bilancio degli importi non versati ai dipendenti. A ben altre conclusioni, verosimilmente, sarebbero giunti i giudici in assenza di tali iscrizioni contabili.

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