Imposte

Calcolo dell’imposta evasa senza i costi indeducibili

Il calcolo non deve considerare i costi non inerenti o non di competenza secondo la sentenza 24142 della Cassazione

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di Laura Ambrosi

Il calcolo dell’imposta evasa nel reato di dichiarazione infedele non deve considerare i costi non inerenti o non di competenza, se realmente esistenti. Occorre, infatti, una verifica che prescinda dalle regole fiscali, dovendosi accertare l’esistenza effettiva dei costi. Ad affermare questo principio è la Cassazione, con la sentenza 24142/2021 depositata il 21 giugno.

Il Gip disponeva il sequestro preventivo di beni per il reato di dichiarazione infedele (articolo 4 del Dlgs 74/2000) contestato al legale rappresentante di una società.

La misura cautelare veniva confermata dal tribunale del riesame e pertanto l’imputato ricorreva in Cassazione. Secondo la difesa, era errato il calcolo dell’imposta evasa ai fini della soglia di punibilità perché erano stati esclusi costi non di competenza e non inerenti in adesione alle regole fiscali.

I giudici di legittimità hanno innanzitutto rilevato che il precetto penale non tiene conto della non inerenza e della indeducibilità di elementi passivi reali indicati nel bilancio o in altra documentazione.

La Cassazione ha così chiarito che per la determinazione dell’imposta evasa nei reati tributari, occorre effettuare una verifica che non si fondi solo sulle regole fiscali, poiché ai fini penali l’accertamento è differente.

In tale contesto, occorre considerare i costi non contabilizzati solo in presenza, quanto meno, di allegazioni fattuali, da cui desumere la certezza o comunque il ragionevole dubbio della loro esistenza. Non assumono rilievo eventuali divergenze dei valori indicati in contabilità rispetto alla violazione dei criteri di competenza e di inerenza, a condizione che si tratti di costi esistenti.

Nel caso esaminato, la Suprema Corte ha evidenziato che i costi da cui traeva origine il calcolo dell’imposta evasa eseguito dall’Amministrazione erano presenti in contabilità e non c’erano contestazioni sulla loro esistenza.

Nella ricostruzione del reddito, i verificatori avevano individuato ammortamenti, compensi amministratori, spese indeducibili e perdite su crediti ritenuti indeducibili o non di competenza nell’esercizio oggetto di controllo. Per tali elementi, però, non era in dubbio la reale effettività, ma solo l’imputazione al corretto anno.

La Cassazione, accogliendo il ricorso, ha ritenuto che il Tribunale del riesame non avesse adeguatamente valutato i costi contestati e conseguentemente il superamento della soglia ai fini del reato di dichiarazione infedele.

La decisione riguarda una questione che si verifica di frequente, peraltro espressamente disciplinata con la riforma del 2015. Spesso, infatti, i costi rilevati a bilancio non sono poi deducibili secondo le regole fiscali. Si pensi ad esempio a compensi amministratori imputati per competenza a prescindere dal pagamento, o i costi per autovetture o per altri beni a deducibilità limitata. Sono costi effettivi che però sono indeducibili ai fini fiscali nel calcolo della base imponibile.

Ai fini penali, invece, tali costi essendo esistenti, devono essere considerati comunque e non concorrono alla determinazione dell’imposta evasa.

Così nella dichiarazione infedele solo i costi inesistenti incidono per il raggiungimento della soglia di punibilità. Peraltro essi non devono essere supportati da falsi documenti altrimenti si verifica il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture inesistenti.

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