Adempimenti

Carried interest, la gestione della clausola può «blindare» la natura finanziaria dei proventi

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di Paolo Lorenzo Mandelli e Luca Zoani

Un’attenta strutturazione delle clausole di leavership all’interno di accordi di investimento che prevedono la partecipazione dei manager al capitale/patrimonio di una società/fondo può aiutare a preservare la natura finanziaria dei proventi connessi, anche in assenza di copertura normativa di cui all’articolo 60 del Dl 50/2017 (disciplina «carried interest»).

Tale norma prevede che, al ricorrere di determinati requisiti, i proventi derivanti da investimenti finanziari da parte dei manager, siano qualificati come redditi di capitale o redditi diversi e pertanto soggetti all’imposta sostitutiva del 26 per cento.

La sussistenza dei requisiti normativi è indice di un allineamento duraturo degli interessi dei managers a quelli degli altri investitori ai fini di una comune assunzione e condivisione del rischio societario e costituisce pertanto la ratio della qualificazione dei proventi in parola tra i redditi finanziari in luogo dei redditi di lavoro dipendente. Nell’ambito di operazioni di investimento accade sovente di riscontrare (per diverse ragioni) il mancato rispetto di uno o più dei requisiti fissati dalla norma (in particolare l’investimento minino dell’1%).

Tale circostanza non comporta tuttavia l’automatica (ri)qualificazione del carried interest in reddito da lavoro, ma implica una verifica fattuale circa l’esistenza di un effettivo investimento finanziario connotato dal rischio di perdita del capitale apportato. In tale indagine le clausole di leavership hanno una portata rilevante in quanto le stesse, come indicato dall’agenzia delle Entrate «possono costituire in astratto un elemento utile alla qualificazione del reddito» (circolare 25/E/2017).

Le clausole in esame, che regolano taluni potenziali accadimenti compensativi in caso di interruzione del rapporto di lavoro tra società e manager, si distinguono in «bad leaver» e «good leaver», a seconda delle ragioni che ne hanno determinato l’applicazione. Tali previsioni “tutelano” il manager in termini di recupero del costo dell’investimento effettuato (ad esempio mediante put/call option).

La clausola di bad leavers (che prevede di regola un ritorno sull’investimento pari al minore tra l’esborso effettivo ed il valore di mercato della società) non comporta criticità in relazione alla qualificazione del reddito, il manager difatti è esposto alla perdita del capitale al pari degli altri soci. A diverse conclusioni si potrebbe giungere ove la clausola garantisse al manager un ritorno finanziario pari almeno al capitale investito. Di contro la clausola di good leaver (ove viene usualmente previsto un ritorno sull’investimento pari al maggiore tra l’esborso effettivo ed il valore di mercato) se non ben strutturata potrebbe costituire una criticità che porterebbe a condurre i proventi da carried interest tra i redditi di lavoro.

Per mitigare tale rischio si potrebbero prevedere dei meccanismi volti a garantire al manager il mantenimento dell’investimento finanziario (seppur in misura ridotta, privo di diritti patrimoniali rafforzati e parametrato agli anni di permanenza in società) anche oltre il momento in cui viene ad interrompersi il rapporto di lavoro o collaborazione. Tale previsione porterebbe ad escludere un legame diretto dell’investimento con lo status di manager, in quanto l’interesse del soggetto risulterebbe “allineato” agli altri soci in termini di partecipazione al rischio dell’investimento e dunque porterebbe a qualificare il carried interest tra i redditi finanziari.

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