Controlli e liti

Cessione d’azienda, il registro accertato vale come presunzione semplice

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di Chiara Vanni (studente del XIX master tributario del Sole 24 Ore)

L'accertamento passato in giudicato relativo all'imposta di registro di un'operazione di cessione di ramo d'azienda vale come presunzione semplice nell'ambito delle contestazioni mosse per la determinazione del reddito. L'onere della prova si sposta quindi in capo al contribuente, che dovrà dimostrare l'effettivo valore dell'operazione potendosi servire, a tale scopo, degli argomenti già sperimentati nel corso del procedimento relativo all'imposta di registro.
Il principio, espresso dalla Cassazione con l’ordinanza n. 21632/2014 si pone sulla scia di una giurisprudenza già avviata e ha particolare rilevanza per le operazioni poste in essere con parti correlate dalle società a ristretta base sociale.
In questi casi, infatti, la rideterminazione del reddito sulla base del valore normale del bene ceduto potrebbe giocarsi su due fronti: da un lato il disposto di cui all'articolo 51 del Dpr 131/1986, dall'altro il “postulato” dell'antieconomicità della gestione che conduce ad un'applicazione estensiva dell'articolo 86, comma 3 del Dpr 917/1986.
La pronuncia ribadisce che i principi relativi alla determinazione del valore di un bene che viene trasferito sono diversi a seconda dell'imposta che si deve applicare. Con riferimento all'imposta di registro la base imponibile è determinata dal valore di mercato avendo riguardo, relativamente alle operazioni aventi ad oggetto aziende o rami aziendali, anche alla valorizzazione dell'avviamento. Nell'ambito delle imposte sui redditi, invece, la plusvalenza realizzata si determina come differenza tra il prezzo di acquisto e il prezzo di cessione.
Nonostante ciò, nello svolgimento dei propri poteri accertativi, l'Amministrazione finanziaria può rideterminare il reddito derivante dall'operazione sulla base del valore espresso ai fini del registro, derivante sia da giudicato definitivo sia da adesioni del contribuente. Trattandosi tuttavia di una presunzione semplice, al contribuente sarà garantita la possibilità di difendersi in un processo che risulta, a tutti gli effetti, autonomo.
L'azione del Fisco sembra essere particolarmente incisiva in quelle situazioni in cui, per lo stretto rapporto che viene a determinarsi tra socio e società (anche di capitali), l'operazione si presta naturalmente a facili tentativi di evasione. È il caso delle cessioni intercorse con soggetti legati all'impresa (soci o familiari) nelle società a ristretta base sociale, in cui il confine tra «proprietario» e «gestore» diventa molto spesso sottile.
In questi casi la contestazione potrebbe alimentare il filone delle destinazioni a fini estranei all'impresa: il trasferimento a prezzo inferiore al valore di mercato, non giustificato da valide ragioni economiche, si traduce di fatto in un negozio misto, con finalità di vendita e di donazione. La conseguenza è che cambia il criterio di determinazione del reddito, non avendosi più riguardo al corrispettivo conseguito ma al valore normale del bene ceduto.
Il contribuente potrebbe quindi trovarsi di fronte alla difficoltà di dimostrare le valide ragioni economiche sottostanti l'operazione, necessarie a comprovare che le logiche imprenditoriali seguite risultano idonee a giustificare il prezzo praticato dalla società, seppur fuori mercato.

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