Il CommentoControlli e liti

Cessione di quote o d’azienda: si ricomincia?

Dalla lettura della ordinanza n. 19238/2021 della Corte di Cassazione emergono passi indietro

di Giorgio Gavelli

A volte si ha la netta impressione che nell’interpretazione della norma tributaria si facciano due passi avanti ed uno indietro. È la sensazione che si ricava dalla lettura della ordinanza n. 19238/2021 della Corte di Cassazione, in cui, con motivazione assai stringata, si sostiene che, ai fini della solidarietà nei debiti tributari (articolo 14 Dlgs n. 472/1997,) il cessionario risponde con il cedente anche se oggetto del trasferimento non è una azienda o ramo ma l’intera quota di Srl posseduta dall’unico socio.

Per anni si è assistito al dibattito sulla possibile riqualificazione della cessione totalitaria delle partecipazioni societarie in cessione di azienda, generalmente focalizzando l’attenzione sull’articolo 20 del Dpr n. 131/1986. I vari attori in scena non brillavano certo per coerenza. Da un lato, l’Amministrazione finanziaria – che pure aveva affermato in varie occasioni (Risoluzioni 251368/1983, 310356/1989 e 47/2006) che non vi è alcuna assimilazione possibile tra vendita di quote, anche totalitaria, e vendita dell'azienda – in sede di liquidazione degli atti registrati affermava esattamente il contrario, riqualificandoli al fine di imporre alle parti un carico fiscale proporzionale in luogo dell'imposta fissa prevista dal legislatore. Dall’altro lato, la Corte di cassazione, anch’essa con idee abbastanza confuse, atteso che a pronunce “pro-Fisco” (11666/2009, 24594/2015, 8542/2016, 11877/2017), alternava arresti – tanto in sede civilistica quanto tributaria - in cui si affermava solennemente che il trasferimento di quote non è mai qualificabile come trasferimento di azienda (26690/2006, 16031/2007, 16030/2010, 17948/2012, 21930/2012). Posizione, quest’ultima, assolutamente ferma in dottrina (Studio del Notariato n. 170-2011/T e Assonime, Circolari n. 3/2018 e 13/2019).

In mezzo, come spesso accade, si trovava la giurisprudenza di merito, a volte schierata sulle posizioni delle Entrate (Ctr Liguria n. 946/01/2016, Ctr Toscana n. 1252/13/2016 e Ctr Emilia-Romagna n. 226/13/2017) e a volte – molto più spesso in verità – su quelle della difesa privata (Ctr Lombardia n. 94/22/2012 e 3466/49/2014, Ctr Sardegna n. 386/08/2016, Ctr Lazio n. 23334/19/2017, Ctp Vicenza n. 156/03/2017).Come noto, si è poi giunti – a “colpi” di norme di interpretazione autentica (emblematica la Relazione illustrativa alla legge di bilancio 2018) e di sentenze della Corte Costituzionale - a una diversa “lettura” dell’articolo 20 Tur.

Per quanto il binomio “cessione totalitaria di quote/cessione di azienda” si coniughi, generalmente, all’interno dell'atto stesso portato a registrazione, la più chiara delimitazione dei confini tra attività “interpretativa” e ricerca dell’abuso di diritto (disciplinato dall’articolo 10-bis della Legge n. 212/2000) ha condotto tanto l’agenzia delle Entrate (risposte ad interpello n. 956-1469/2018 e 13/2019) quanto la Cassazione (ordinanza 20641/2021) a riconoscere e valorizzare i differenti effetti giuridici e fiscali dei due atti posti a confronto (pur con qualche dubbio riguardante l’eventuale successiva incorporazione da parte del cessionario), tesi subito accolta dai giudici di merito (Ctr Toscana n. 583/02/2021, Ctr Lombardia n. 768/19/2021 e Ctp Udine n. 160/01/2019).

A questo punto, leggere che la solidarietà per i debiti tributari, prevista per le cessioni di azienda, si applica alla stessa maniera alle cessioni totalitarie di quote demoralizza alquanto, ponendosi in contrasto non solo con i traguardi raggiunti con il (faticoso) percorso di cui sopra, ma anche con gli articoli 2462 e 2470 Codice civile e con la disciplina del certificato sui “carichi pendenti” tributari limitante la responsabilità, che gli Uffici certo non rilasciano ai “meri” acquirenti di partecipazioni. Per favore: non ricominciamo daccapo.