Il CommentoProfessione

Coesione e inclusione, i professionisti non vanno dimenticati

Il presidente della Cassa commercialisti: «Nel Pnrr più spazio ai bisogni dei professionisti»

di Stefano Distilli

Tra gli effetti dell’esperienza pandemica c’è sicuramente quello di aver reso più evidenti e profonde differenze già in essere: non tutti sono stati colpiti allo stesso modo e, a pagarne le maggiori conseguenze, è stato chi già in precedenza viveva situazioni di difficoltà o si trova, anche ora, a dover fare i conti, come nel caso di tanti professionisti, con un lavoro da inventare, adattare e gestire ogni giorno, a fronte di tutele che risultano in molti casi inadeguate.

È da queste valutazioni, rese appunto più evidenti dal contesto pandemico, che occorre ripartire per ripensare non solo il modello di sviluppo economico, ma anche le politiche di welfare applicate nel nostro Paese, mettendo al centro le competenze di tutti i lavoratori e, nell’ambito specifico, dei liberi professionisti, concentrando l’attenzione su politiche di inclusione, equità e crescita individuale e gestendo in maniera efficiente le risorse disponibili, in modo da evitare scelte miopi o sbagliate che finiscano per ricadere sulle generazioni future..

Anche nell’ambito del Piano nazionale di ripresa e resilienza il tema dell’evoluzione prospettica del welfare rappresenta un obiettivo trasversale e comune ad almeno quattro delle missioni e più in generale viene sottolineata la centralità di concetti quali «sostegno economico», «protezione dei posti di lavoro» e «promozione della solidarietà». Di fatto dei 224 miliardi di euro complessivi a disposizione dell’Italia, oltre 27 miliardi sono destinati all’inclusione e alla coesione sociale.

L’attuale contesto deve spingerci anche a puntare sempre più su un welfare attivo, in grado di sostenere tutti i tipi di occupazione, dal lavoro dipendente a quello autonomo e professionale, facendo prevalere il principio che il sostegno di tipo sociale, su cui le Casse già investono in modo costruttivo quote importanti delle loro riserve, non vada inteso come un costo assistenziale improduttivo, ma come un vero investimento sul futuro.

Se proviamo a riflettere sul titolo di questo Forum in Previdenza «Non c’è più il futuro di una volta – Disegnare e costruire il welfare di domani» e sugli obiettivi che vorremmo riuscire a mettere a fuoco, la sensazione è quella di trovarsi tra le mani un cubo di Rubik nel quale tutte le facce risultano scombinate: da un lato stiamo indicando e ipotizzando il percorso di un nuovo modello di welfare, che sia in grado di fornire risposte nuove a bisogni emergenti, puntando su forme di supporto alla professione in tutte le sue fasi.

Dall’altra parte, però, non si può non tenere conto di tutta una serie di limiti e di vincoli sistemici e normativi, a livello generale, così come nell’ambito delle Casse di previdenza privatizzate. Tra questi, i vincoli stringenti applicati per gli Enti di previdenza privati alle risorse da destinare al welfare, le maggiori responsabilità che deriveranno da potenziali ulteriori margini di manovra, gli equilibri attuariali da garantire a lungo e lunghissimo termine, ma anche i fattori demografici critici sia a livello di popolazione generale che per quanto riguarda la nostra professione, un forte gap di genere ancora lontano dall’essere colmato, i bisogni e le fragilità crescenti che questa crisi ha accentuato, acuito e polarizzato.

L’auspicio è, quindi, che il Pnrr prenda adeguatamente in considerazione anche i bisogni e le necessità dei liberi professionisti, che rappresentano una risorsa per tutti e che, all’interno di un circolo virtuoso – tra produzione, contribuzione e investimenti – possono dare una spinta notevole al rilancio e alla ripresa del nostro Paese.