Controlli e liti

Concordato fallimentare, accollo del debito con imposta di registro fissa

La decisione della Ctr Lombardia produce un impatto sostanziale nelle procedure con assuntore limitando i costi indiretti

di Gianluca Dan

Accollo del debito nel concordato fallimentare con imposta di registro fissa e non proporzionale: è questo l’importante chiarimento che si ritrae dalla sentenza 2838/17/2020 della Ctr Lombardia (presidente Lamanna e relatore Scarzella). Viene confermata la tesi difensiva, già sostenuta nel contenzioso in sede provinciale, riconoscendo l’illegittima l’applicazione dell’imposta di registro sull’omologa del concordato fallimentare con assuntore nella misura del 3% del debito accollato.

La decisione

La sentenza, nel caso patrocinato dall’avvocato Paolo Franzoni di Elexia, conferma l’applicazione al caso di specie dell’articolo 21, terzo comma, Tur, in base al quale «non sono soggetti ad imposta gli accolli di debiti ed oneri collegati e contestuali ad altre disposizioni». L’Erario può pertanto percepire soltanto l’imposta normalmente dovuta sul trasferimento all’assuntore dell’attivo fallimentare, secondo la composizione di questo, similmente a quanto accadrebbe ove tale trasferimento avvenisse non tanto nell’ambito di una procedura concorsuale ma nel contesto di un negozio ordinario, peraltro in conformità ad un ovvio principio di eguaglianza sostanziale. È opportuno ricordare che la prassi dell’agenzia delle Entrate prevede una duplice liquidazione dell’imposta, sull’attivo trasferito e sull’accollo, seguito dal confronto tra i due importi, per la finale applicazione del più alto tra i due. Nel giudicare anche tale prassi, la Ctr Lombardia ha escluso che questa prassi sia conforme al diritto.

Il principio

Nel merito la Ctr ha dato ragione al contribuente che riteneva di poter applicare il terzo comma dell’articolo 21 del Tur e non il secondo comma come richiesto dall’ufficio. Si ricorda che tale secondo comma stabilisce che «se le disposizioni contenute nell’atto derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre, l’imposta si applica come se l’atto contenesse la sola disposizione che dà luogo alla imposizione più onerosa» ovvero con l’aliquota del 3% sul valore del debito accollato (articolo 9 della Tariffa, Parte prima, allegata al Tur). In particolare richiamando l’orientamento della Suprema corte di cassazione (sentenza 8786/2017) viene evidenziato che l’accollo del passivo fallimentare altro non è che la modalità di pagamento del corrispettivo del trasferimento dell’attivo fallimentare e, cioè, il controvalore del trasferimento in suo favore di massa attiva.

L’accollo non costituisce pertanto un atto negoziale a sé stante e autonomo ma un atto accessorio, quasi una clausola negoziale, del debito accollato e come tale non autonomamente sottoponibile all’imposta di registro.

L’impatto della decisione

L’interpretazione condivisibile fornita dalla Ctr ha ovviamente un impatto sostanziale nei concordati con assuntore (fallimentari o preventivi che siano) in quanto limita i costi indiretti rappresentati dall’imposta di registro, a beneficio indiretto dei creditori, ai quali i proponenti potrebbero indirizzare offerte a questo punto corrispondentemente aumentate. Il concordato fallimentare con accollo costituisce infatti uno strumento giuridico in grado di chiudere anticipatamente la procedura di fallimento attraverso il soddisfacimento dei creditori da parte di un soggetto terzo.

In particolare, nel concordato fallimentare «la proposta presentata da uno o più creditori o da un terzo può prevedere la cessione, oltre che dei beni compresi nell’attivo fallimentare, anche delle azioni di pertinenza della massa, purché autorizzate dal giudice delegato, con specifica indicazione dell’oggetto e del fondamento della pretesa», come stabilisce l’art. 124 della legge fallimentare.

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