Controlli e liti

Confronto con il contribuente quasi d’obbligo dal 1° luglio

L’invito prima di emettere l’accertamento

di Laura Ambrosi e Antonio Iorio

Dal 1° luglio per alcune attività di controllo l’amministrazione prima di emettere l’accertamento deve svolgere con il contribuente preventivamente il contraddittorio. Il decreto Crescita (Dl 34/2019) ha infatti introdotto un obbligo quasi generalizzato di contraddittorio preventivo, disciplinando le relative modalità operative per uffici e contribuenti. Finora questo obbligo era previsto per legge solo per determinate tipologie di controllo e per i tributi comunitari sulla base dell’elaborazione giurisprudenziale comunitaria e di legittimità.

Il diritto al contraddittorio è previsto espressamente per tutte le ipotesi in cui l’accertamento è conseguente a una verifica presso la sede del contribuente (articolo 12 dello Statuto del contribuente) e per poche tipologie di accertamento (redditometro, studi di settore ecc.).

Per la generalità dei controlli a tavolino, ossia svolti presso gli uffici dei verificatori, occorre distinguere tra tributi armonizzati (ad esempio l’Iva) e non armonizzati (imposte sui redditi, registro eccetera): per i primi, valgono le regole comunitarie, e quindi occorre riconoscere il diritto al confronto preventivo, per i secondi, invece, tale diritto deve essere accordato solo se espressamente previsto per legge.

Con il decreto Crescita è stato previsto che per gli atti emessi dal 1° luglio 2020, ove non sia stato rilasciato un verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, l’amministrazione notifichi un invito a comparire per l’avvio del procedimento di definizione dell’accertamento. In sostanza il contribuente viene invitato prima dell’emissione dell’accertamento al fine di individuare (in contraddittorio) un possibile accordo per la definizione in adesione. Da questa regola generale sono esclusi gli avvisi di accertamento parziale e di rettifica parziale Iva. Un’esclusione, questa, che rischia di svuotare di garanzie l’intero istituto: buona parte delle rettifiche degli uffici, infatti, sono formulate con tale metodologia accertativa (accertamento parziale) e ciò anche in conseguenza di verifiche generali. Ne consegue che, nella maggior parte dei casi, il contraddittorio preventivo potrebbe non essere applicato.

La nuova norma prevede che se l’ufficio non attiva il contraddittorio prima della notifica del provvedimento impositivo, il successivo accertamento sia invalido ma solo nel caso in cui, a seguito di impugnazione davanti al giudice tributario, il contribuente dimostri le ragioni che avrebbe potuto far valere se il contraddittorio fosse stato attivato. In altre parole, l’atto non è nullo automaticamente in mancanza del contraddittorio preventivo, ma occorre una ulteriore prova a carico del contribuente (la cosiddetta «prova di resistenza»).

Si tratta, in estrema sintesi, della enunciazione nel ricorso, di tutti i fatti che avrebbe potuto eccepire il contribuente se il contraddittorio fosse stato eseguito prima dell’emissione dell’atto impositivo.

La nuova norma introduce espressamente due obblighi di motivazione a carico dell’Ufficio. Innanzitutto, se al termine del contraddittorio preventivo non è stato raggiunto alcun accordo, l’atto impositivo dovrà spiegare i motivi per i quali non sono state ritenute valide le ragioni esposte dal contribuente. In secondo luogo, poiché l’obbligo all’invito preventivo può essere derogato in casi di particolare urgenza, l’ufficio, ricorrendo queste ipotesi, dovrà espressamente motivare tale circostanza ovvero il fondato pericolo per la riscossione. Si ricorda a questo riguardo, che, per consolidato orientamento della Corte di cassazione, tra le ragioni di urgenza non rientra la scadenza del termine di decadenza.

Parallelamente al contraddittorio preventivo, è prevista anche la proroga di ben 120 giorni dei termini di decadenza per la notificazione dell’atto impositivo se tra la data di comparizione e quella di decadenza ordinaria intercorrono meno di 90 giorni. Questa previsione dovrà però essere ora coordinata con il differimento della decadenza introdotto con i decreti Covid, per i quali gli atti in scadenza entro il prossimo 31 dicembre, dovranno essere emessi entro il 2020, ma notificati entro il 2021.

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