Controlli Consob sul broker Ue
La Consob come autorità del Paese che ospita la succursale dell’impresa di investimento comunitaria, con sede in uno Stato membro, può controllare e sanzionare il broker per lo svolgimento di attività di promozione fuori sede da parte di soggetti non iscritti all’albo. La Cassazione, con la sentenza 70 depositata ieri, respinge il ricorso di una società cipriota, che sosteneva l’assenza di un potere ispettivo dell’autorità italiana.
Verifiche e sanzioni, a parere della ricorrente, erano in contrasto con i princìpi del passaporto europeo e dell’home country control, fissati dalla direttiva 2004/39/CE sui mercati degli strumenti finanziari (Mifid). Essa attribuirebbe alla sola autorità dello Stato di origine il controllo sulle imprese di investimento costituite nel territorio di uno dei paesi membri e con sede sociale, amministrazione centrale o centro dell’attività principale all’interno dell’Ue. Il ricorso evidenzia che i casi di vigilanza diretta sulle succursali sono tassativi e non non riguardano il caso esaminato.
La Corte, nega la correttezza della lettura fornita dell’amministratore ricorrente. I giudici della Seconda sezione civile, coordinando le disposizioni, Testo unico della finanza (articolo 10) e direttiva, concludono che la Consob è certamente abilitata svolgere i controlli sulla succursale nel territorio, per verificare il rispetto degli obblighi fissati dalla norma Ue.
Nello specifico, rientra nel potere della Consob “sindacare” sull’attività svolta dagli introducing brokers, perché questa si traduceva nella promozione fuori sede dei servizi di investimento complessivamente offerti dalla società.
Accertamenti, adeguatamente motivati, che non sono però sindacabili nel merito dalla Cassazione, che esclude in ogni caso profili di incompatibilità tra la normativa nazionale e quella comunitaria. Inoltre, proprio la direttiva Mifid puntualizza che «le condizioni per l’esercizio di attività al di fuori dei locali dell’impresa di investimento (vendita porta a porta) non dovrebbero essere disciplinate dalla presente direttiva».
Cassazione, sezione civile, sentenza 70 del 4 gennaio 2018