Professione

Copyright, la commissione Ue spinge per l’ok alla direttiva

di Alessandro Galimberti

«Ora o mai più». La Commissione europea lancia l’ultimo, accorato appello per la riforma del copyright in versione Ue che si deciderà domani a Strasburgo nella seduta plenaria del Parlamento. Dopo lo stop dello scorso luglio, quando diversi deputati si erano sfilati chiedendo il rinvio del voto, un ulteriore ripensamento del legislativo comunitario determinerebbe la fine, di fatto, del progetto pensato per riequilibrare il mercato dei diritti sulle opere artistiche e sulle pubblicazioni editoriali.

«Se il Parlamento non riuscirà a concordare una posizione, la riforma non potrà essere conclusa entro la legislatura» ha detto una portavoce della Commissione all’agenzia Ansa, e lo status quo continuerà a favorire «solo le grandi piattaforme» come Facebook, Google,e YouTube. Le nuove regole sul copyright, dicono alla Commissione, «sono necessarie per consentire ai creatori e alla stampa di ottenere accordi migliori quando i loro lavori sono resi disponibili online».

Il tema resta davvero caldissimo, sia per la portata in valore economico della posta in gioco – che ha messo in moto le potentissime lobby dei monopolisti digitali dentro e fuori i corridoi del Parlamento – sia per il risvolto politico della vicenda. Non a caso il vicepremier italiano Luigi Di Maio, che a luglio aveva parlato di «legge bavaglio al web» – mentre in realtà si tratta solo di far pagare ai monopolisti (e non al pubblico) i diritti che spettano agli autori – ieri è tornato ad attaccare gli editori “tradizionali”, spettatori interessati alla partita. Di Maio ha detto che «bisogna fare una legge per garantire che gli editori siano puri e i giornalisti liberi di fare inchieste su tutte le magagne dei prenditori», riferendosi alla tragedia del ponte Morandi di Genova e alle «mani in pasta» dei grandi gruppi.

A stretto giro la risposta del presidente della Fieg, Andrea Riffeser Monti, che rigettando con forza l’affermazione che gli editori abbiano le «mani in pasta ovunque nelle concessioni di Stato» ha ribadito la pronta e immediata disponibilità «ad un serio confronto in Parlamento con tutte le forze politiche per analizzare e discutere il futuro della carta stampata».

Anche il neo presidente della Siae, il noto autore e paroliere Mogol, lancia una chiamata alle armi: «Siamo in guerra: si sta attentando al diritto d’autore. Responsabili sono le multinazionali piene di miliardi. Ma spero tanto che vinceremo: loro hanno i miliardi e fanno attività di lobbying, noi abbiamo ragione», ha dichiarato Mogol.

Il tema di fondo, in termini giuridici, è l’attualizzazione della direttiva del 2001 che regola il riconoscimento dei diritti online. Quella direttiva, che a Bruxelles considerano superata da tempo, badava soprattutto a rendere fruibili i contenuti sulla rete, creando una serie di neutralità per far circolare liberamente le conoscenze. Tuttavia, superata la fase di start up del mondo digitale, e soprattutto nata la fase della interattività degli utenti (che possono agire come veri e propri editori senza titolo, postando e rilanciando contenuti altrui), il mercato dell’informazione e dell’intrattenimento online ha preso una deriva a quell’epoca non prevedibile: gli autori e le società editoriali sono stati spossessati del tutto del diritto di essere remunerati/pagati, mentre gli intermediari digitali (in testa Google, Facebook e YouTube) hanno catalizzato tutti gli incassi, provocando lo squilibrio sotto gli occhi di chiunque (basti valutare la capitalizzazione multimiliardaria dei monopolisti digitali a Wall Street).

Bruxelles aveva presentato il pacchetto di aggiornamento già due anni fa, nel 2016. «La nostra proposta salvaguarda la libertà di espressione», ha ribadito la Commissione, «non mette al bando né i meme né i link a differenza di quanto è stato dichiarato in queste settimane». Per la Ue la redistribuzione dei ricavi digitali è necessaria anche e soprattutto per salvaguardare la pluralità delle fonti di pensiero e di informazione, messe seriamente a rischio dai processi di concentrazione imprenditoriale sviluppatisi nel mondo web.

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