Correzioni in aumento da documentare
Sarà possibile ottenere l’adeguamento corrispondente dei prezzi di trasferimento, quando una rettifica in aumento all’estero abbia carattere di definitività, ma non derivi da un accertamento delle autorità fiscali estere? In altri termini, cosa succede se in seguito ad un accertamento all’estero per un solo anno (ad esempio il 2014), definito con le autorità locali dalla controllata estera, questa decida spontaneamente, per le successive annualità 2015 e 2016, di adeguare i propri prezzi a quanto stabilito in fase di accertamento rettificando le dichiarazioni dei redditi già presentate?
L’articolo 31-quater, comma 1, lettera c) del Dpr 600/1973 si limita a porre come condizione per l’aggiustamento corrispondente che nello Stato estero, legato a convenzione con l’Italia, vi sia stata una rettifica in aumento definitiva e conforme al principio di libera concorrenza. Questi requisiti sono declinati, nella bozza di provvedimento attuativo al punto 2.3, lettera d) con maggior dettaglio. In particolare, pena l’inammissibilità dell’istanza (punto 3.3 della bozza), il contribuente per dimostrare di possedere i requisiti di cui all’articolo 31-quater dovrà allegare:
• copia degli “atti impositivi” dai quali scaturisce la rettifica in aumento ed emessi dall’autorità fiscale estera;
• gli elementi di diritto o di fatto che consentano di verificare se la rettifica in aumento sia stata effettuata in base al principio di libera concorrenza;
• la certificazione rilasciata dall’autorità fiscale estera sulla definitività della rettifica effettuata.
Con riferimento alla necessità di produrre gli atti impositivi dai quali scaturisce la rettifica in aumento, l’ostacolo potrebbe essere costituito dal fatto che nel caso in esame (peraltro frequente) l’atto impositivo riguarda solo l’annualità 2014 e non anche le successive oggetto di adeguamento spontaneo da parte della controllata estera. Sarebbe meglio che il provvedimento precisasse che l’atto impositivo, insieme alle dichiarazioni rettificative presentate per gli anni successivi, siano sufficienti ad integrare i requisiti di ammissibilità dell’istanza. In altri termini, se la società estera riconoscesse, ripresentando le dichiarazioni per gli anni successivi all’accertamento, di aver effettuato transazioni infragruppo a prezzi non in linea con il principio di libera concorrenza, la controllante italiana dovrebbe essere ammessa al riconoscimento della variazione in diminuzione in Italia, anche in assenza di accertamento all’estero per quegli anni, facendo valere, come atto impositivo, quello definitivo relativo al 2014.
La terza condizione (certificazione rilasciata dall’autorità fiscale estera sulla definitività della rettifica effettuata) dovrebbe in questo caso essere riferita non soltanto all’accertamento ma anche alle successive dichiarazioni rettificative estere, che normalmente sono ritrattabili ma che il contribuente potrebbe, d’accordo con l’amministrazione locale, rendere immodificabili. Una tematica simile, che potrebbe avere uguale soluzione, si presenta nei casi in cui nello Stato estero (ad esempio la Serbia) sia previsto una sorta di “adeguamento obbligatorio” che deve essere effettuato già in sede di dichiarazione.