Crisi d’impresa, attestazione del professionista con vincoli rigidi
Indipendenza a maglie strette per il
La cornice normativa è rappresentata dall’articolo 161 comma 3 della Legge fallimentare, dove si precisa che requisito di ammissibilità della domanda di concordato preventivo è l’esistenza della relazione messa a punto da un professionista attestatore in possesso, tra l’altro, del requisito dell’indipendenza. Condizione che si considera soddisfatta quando il professionista stesso non è legato all’impresa o a tutti coloro che hanno interesse all’operazione da rapporti di natura personale o lavorativa. In ogni caso, avverte sempre la Legge fallimentare, il professionista non deve avere prestato, nei 5 anni precedenti, attività di lavoro subordinato o autonomo a favore del debitore.
Da parte della Corte d’appello di Genova veniva sottolineato come da parte del ragioniere che era stato chiamato ad attestare il piano fosse stata svolta una precedente attività professionale a vantaggio della società interessata dal concordato. Innanzitutto il professionista aveva inviato una raccomandata di contestazione di fatture emesse a carico della società e poi, in corso di istruttoria, era emerso come lo stesso ragioniere collaborasse con un altro professionista a sua volta creditore della società proponente il concordato preventivo per attività di consulenza contabile svolta nella fase precedente la presentazione della domanda.
Di qui la decisione di ritenere accertata la violazione della Legge fallimentare sotto il profilo dell’assenza del requisito di indipendenza e, di conseguenza, il giudizio di inammissibilità della domanda di concordato redatta con la collaborazione del professionista. La società si era opposta sostenendo, tra l’altro, che, per quanto riguarda la figura del professionista, a dovere essere privilegiati sono altri elementi come la competenza, da ritenere a tutela anche dei creditori. L’eventuale limite di indipendenza dell’attestatore dovrebbe, al massimo, essere considerata come una semplice irregolarità. Tanto più a tenere conto che si tratta di una figura scelta dall’imprenditore evidentemente in considerazione di una fiducia di natura personale.
La Cassazione replica che, se è vero che la fiducia personale gioca un ruolo importante, «non c’è dubbio che il professionista nominato, nel quadro normativo, non è un consulente e tanto meno un collaboratore del (solo) proponente, come è dimostrato senza margini di dubbio dal fatto che la legge ha previsto che egli debba possedere specifici e stringenti requisiti di indipendenza». L’incompatibilità è allora assoluta quando emerge una qualche forma di precedente collaborazione con l’impresa. In questo senso l’espressione normativa, «in ogni caso», è chiara.
Cassazione, ordinanza 9927/2017