Controlli e liti

Dal conto cassa in rosso una spia di ricavi non registrati

L’ordinanza 19443/2021 della Cassazione legittima la rettifica con il metodo analitico-induttivo

di Roberto Bianchi

La chiusura in rosso di un conto cassa sta a significare che le voci di spesa sono di entità superiore a quelle degli introiti registrati. Di conseguenza, in applicazione del metodo analitico induttivo, non si può fare a meno di ravvisare, senza alcuna forzatura interpretativa, l’esistenza di altri ricavi non registrati. A tale conclusione è giunta la Cassazione con l’ordinanza 19443/2021.

Il conto cassa rappresenta una posta contabile di estrema rilevanza ai fini della corretta tenuta di una contabilità ordinaria e, pertanto, sussiste la possibilità che venga verificato dall’Amministrazione finanziaria e utilizzato in ambito accertativo (Cassazione, ordinanza 25289/2017).

I giudici di legittimità spesso si sono occupati di tale particolare situazione rilevando che la sussistenza di un saldo negativo di cassa comporta voci di spesa di entità superiore rispetto agli incassi regolarmente contabilizzati. Tutto ciò, oltre a costituire una palese irregolarità contabile, genera una presunzione in merito alla sussistenza di ricavi non registrati in misura quanto meno corrispondente al disavanzo di cassa riscontrato.

In tale circostanza, l’agenzia delle Entrate non è tenuta a fornire ulteriori prove per dimostrare la relazione tra le movimentazioni del conto cassa e gli ulteriori ricavi accertati, incombendo l’onere della prova in capo al contribuente, chiamato a fornire elementi probatori contrari alla presunzione di sussistenza di ulteriori componenti positivi di reddito, ovvero a dimostrare errori di scritturazione e/o problemi di rilevazione contabile (Cassazione, ordinanza 123/2017).

Al fine di giustificare un saldo di cassa negativo è, infatti, possibile appellarsi al mero errore di imputazione contabile che, per poter assumere rilievo ai fini della prova contraria, deve essere analiticamente circostanziato e comprovato da parte del contribuente.

In presenza di un saldo negativo del conto cassa, i giudici della Cassazione hanno ribadito, sulla base degli arresti menzionati in precedenza, la possibilità di esperire l’accertamento analitico-induttivo da parte dell’agenzia delle Entrate, in base all’articolo 39, comma 1, lettera d), del Dpr 600/1973, qualificando, attraverso presunzioni semplici qualificate, il disavanzo di cassa alla stregua di ricavi non dichiarati (Cassazione, ordinanza 22698/2019).

Con la sentenza 1530/2017, la stessa Suprema corte, del resto, ha stabilito che legittima l’accertamento analitico-induttivo, pur in presenza di una contabilità formalmente regolare, anche la coesistenza di un conto cassa con un ingente saldo positivo e di una elevata esposizione bancaria, costituendo ciò espressione di una condotta antieconomica.

È necessario evidenziare, inoltre, che l’agenzia delle Entrate in presenza di un saldo di cassa negativo ha la possibilità di contestare una grave irregolarità contabile e così poter determinare induttivamente i ricavi in forza di quanto disposto dalla lettera d) del comma 2 dell’articolo 39 del Dpr 600/1973 (Cassazione, sentenza 8330/2012).

Attraverso l’ordinanza 25289/2017 i giudici di legittimità si sono occupati di un caso in cui l’Ufficio, riscontrata la sussistenza di un saldo cassa negativo e l’incompatibilità di tale valore con i saldi dei conti correnti bancari, ha ricostruito indirettamente i ricavi dimostrando l’inattendibilità delle scrittura contabili, presupposto, ai sensi dell’articolo 39, comma 2, lettera d), del Dpr 600/1973, per esperire un accertamento induttivo.

In tale circostanza, pertanto, l’Ufficio non si è limitato a effettuare un accertamento analitico-induttivo in base all’articolo 39, comma 1, del Dpr 600/1973 per far emergere i ricavi occultati nella misura almeno pari al disavanzo del conto cassa, ma si è spinto oltre, adottando il metodo induttivo puro, convalidato, in seguito, dalla Cassazione.

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