I temi di NT+Modulo 24

Deduzione dei costi, l’inerenza non passa dall’antieconomicità

L’ordinanza 6368/2021 della Cassazione ha ribadito che la valutazione si gioca su un piano qualitativo

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di Marco Cramarossa

Il principio dell'inerenza è sempre più frequentemente al centro di arresti giurisprudenziali, riguardanti peraltro diverse vicende accertative, nonché di posizioni contrastanti in dottrina.

La determinazione del reddito d'impresa tiene conto del fisiologico confronto tra costi e ricavi, secondo un criterio basato sulla natura differenziale dello stesso. Quanto detto per evidenziare che la deduzione dei costi è un principio caratteristico del concetto prelegislativo di reddito, ovvero della misurazione quantitativa della capacità contributiva considerata evidentemente al netto dei costi necessari per produrla.

Il principio di inerenza
Ciò posto, il tema spesso al centro delle pronunce di legittimità riguarda la corretta interpretazione del principio contenuto nell'articolo 109, comma 5, del Tuir, in base al quale le spese e gli altri componenti negativi di reddito - diversi dagli interessi passivi - sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi. In realtà, la norma non postula affatto il principio di inerenza, ma semplicemente quello di correlazione tra costi deducibili e ricavi tassabili.
Il principio di inerenza si declina, invece, attraverso il nesso di riferibilità delle operazioni comportanti il sostenimento di costi all'esercizio dell'attività d'impresa, secondo un giudizio qualitativo relativo a costi attinenti ad atti d'impresa che si collocano in un nesso di programmatica, futura o potenziale proiezione normale dell'attività stessa, senza che sussista necessariamente una correlazione esplicita e diretta ad una precisa componente positiva di reddito. Pertanto, risultano indeducibili le spese che si riferiscono ad una sfera non coerente o, addirittura, estranea all'esercizio dell'impresa.

L'orientamento della Cassazione
Questi principi sono stati scrutinati a più riprese dalla Cassazione, già con le ordinanze 11 gennaio 2018 n. 450 e 31 maggio 2018 n. 13882. Un orientamento incidentalmente consolidato dai giudici di legittimità anche nel perimetro di accertamenti basati su presunte operazioni soggettivamente inesistenti (ordinanza 30 dicembre 2020 n. 29904). Infatti, la prospettiva probatoria in cui si colloca il contribuente, anche laddove fosse consapevole del carattere fraudolento delle operazioni poste in essere, delimitata dagli elementi richiesti dall'articolo 14, comma 4-bis, della legge 537/1993 (modificato dall'articolo 8, comma 1, del Dl 16/2012), deve pur sempre transitare dai principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità dei costi di cui chiede il riconoscimento, purché non relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di un delitto non colposo.
Nello scenario appena tratteggiato, la Corte, con la richiamata ultima ordinanza, ha chiarito che il principio di inerenza dei costi deducibili si ricava dalla nozione di reddito d'impresa, ovvero dall'articolo 55 del Tuir, e non già dall'articolo 109, comma 5. Inoltre, non si deve compiere alcuna valutazione in termini di utilità, anche solo potenziale o indiretta, in quanto è configurabile come costo anche ciò che non reca alcun vantaggio economico e non assume rilevanza la congruità delle spese, atteso che il giudizio di inerenza è di carattere qualitativo e non quantitativo.
Aspetto, quest'ultimo, ben delineato anche dall’ordinanza 6368, depositata lo scorso 8 marzo, con cui la Cassazione ha riaffermato l'assunto in base al quale, ai fini della deducibilità, risulta irrilevante l'antieconomicità del costo rispetto ai ricavi attesi, posto che il giudizio sull'inerenza deve essere di natura qualitativa. Dunque, l'antieconomicità del costo, intesa sia in termini di congruità che di utilità anche solo prospettica, rappresenta un parametro quantitativo degradato a mero elemento sintomatico, o rafforzativo, dell'eventuale difetto di inerenza.

La deducibilità degli interessi passivi
Il percorso sin qui tracciato, peraltro condiviso da autorevole dottrina, si interrompe allorquando il giudice di legittimità è chiamato ad intervenire, in particolare, rispetto al tema della deducibilità degli interessi passivi.
Infatti, la Cassazione, con assoluta incoerenza rispetto alle conclusioni sopra descritte, giunge ad affermare che gli interessi passivi, proprio ai sensi dell'articolo 109, comma 5, del Tuir, sono sempre deducibili, anche se nei limiti previsti dall'articolo 96 del Tuir, che indica però la misura e la modalità della deducibilità in via generale, senza che sia necessario operare alcun giudizio preventivo di inerenza (ordinanza 27 febbraio 2020 n. 5332).
Quindi, la controversa norma, che in realtà si occupa di stabilire una correlazione tra costi e proventi non computabili nella determinazione del reddito d'impresa (in quanto esenti), rientra in gioco con il ruolo di principio generale di riferimento per l'inerenza delle spese e degli altri componenti negativi, pur se “strumentalmente” utilizzato per affermare l'estraneità rispetto ad esso degli interessi passivi, sempre e comunque.
Secondo una parte della dottrina, deporrebbe a conforto del postulato giurisprudenziale appena descritto la differenza di trattamento della deducibilità degli interessi passivi tra soggetti Ires e soggetti Irpef. Quanto a questi ultimi, l'articolo 61 del Tuir dispone espressamente la deducibilità solo se inerenti all'attività di impresa e nei limiti del pro rata ivi stabilito, ovvero la stessa regola di deduzione proporzionale stabilita per i costi promiscui (esclusi gli interessi passivi deducibili in base all'articolo 96 del Tuir) dal più volte citato comma 5 dell'articolo 109. Una differenza di trattamento ritenuta, da quella stessa dottrina, tanto irrazionale quanto discriminatoria, al punto da invocare dubbi di incostituzionalità per violazione degli articoli 2, 3 e 53 della Costituzione.
Una differenza però che, al netto della diversa oggettiva modalità di deduzione degli interessi, occorre “sgonfiare” dal presunto diverso giudizio preliminare sull'inerenza, che, si ribadisce, deve sussistere in ogni caso, sia per i soggetti passivi Irpef che per quelli Ires.

Osservazioni finali
Comunque la si pensi, nella prospettiva dell'auspicabile riordino della materia tributaria, sarebbe opportuno fare chiarezza rispetto ad un principio fondamentale, qual è appunto l'inerenza, a prescindere dalle motivazioni, più o meno consistenti, che la dottrina e la giurisprudenza, tempo per tempo, pongono a base delle rispettive interpretazioni.

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