Controlli e liti

Deduzione forfettaria dei costi per ricavi occulti

La Cassazione: stesso trattamento in caso di accertamento induttivo e accertamento analitico. Un’interpretazione che evita di penalizzare chi tiene una contabilità attendibile

di Laura Ambrosi e Antonio Iorio

In presenza di maggior reddito accertato in via analitica induttiva in conseguenza di indagini finanziarie, devono essere riconosciuti i relativi costi, anche in misura percentuale forfettaria. A tal fine il giudice può avvalersi anche dell’ausilio di consulenza tecnica di ufficio.

A fornire questo interessante principio è la Corte di cassazione con la ordinanza 5586 depositata il 23 febbraio che recepisce le indicazioni della Corte Costituzionale nella sentenza 10/2023.

La pronuncia della Suprema Corte trae origine, in estrema sintesi, da una rettifica analitica induttiva effettuata dall’agenzia delle Entrate a seguito di indagini finanziarie svolte nei confronti del contribuente

Tra i vari motivi di ricorso, l’imprenditore lamentava il mancato riconoscimento di costi a fronte dei maggiori ricavi contestati a seguito di movimentazioni bancarie prive di idonee giustificazioni.

La Cassazione ha innanzitutto ricordato che secondo il consolidato orientamento espresso da questa Corte di legittimità l’amministrazione finanziaria deve riconoscere una deduzione in misura percentuale forfettaria dei costi di produzione soltanto in caso di accertamento induttivo “puro” (articolo 39, comma 2, Dpr 600/73).

In caso di accertamento analitico o analitico presuntivo (come in caso di indagini bancarie), invece, è il contribuente ad avere l’onere di provare l’esistenza di costi deducibili, afferenti ai maggiori ricavi o compensi, senza che l’Ufficio possa, o debba, procedere al loro riconoscimento forfettario (da ultimo, sentenza 34996/2022).

Tuttavia, la Consulta (sentenza 10/2023) pur dichiarando non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata con riferimento al mancato riconoscimento dei costi sostenuti a seguito di prelevamenti bancari non giustificati, ha ritenuto possibile un’interpretazione adeguatrice della norma.

In particolare mentre in caso di accertamento induttivo “puro”, l’impossibilità di una ricostruzione complessiva della contabilità o la sua inattendibilità hanno indotto la giurisprudenza di legittimità a riconoscere la deduzione dei costi di produzione, anche in misura percentuale forfettaria (con onere di determinazione in capo all’Ufficio), nell’accertamento analitico-contabile, caratterizzandosi per la rettifica di singole componenti e per la presenza di una contabilità generalmente attendibile, ai fini della deducibilità il contribuente deve provare con elementi certi e precisi i costi.

Ne consegue così un trattamento più severo in danno del contribuente che ha tenuto una contabilità attendibile, rispetto al regime probatorio di cui si avvale chi, pur avendo omesso qualsiasi contabilità o averla tenuta in modo inattendibile, riceve un accertamento induttivo. Da qui l’interpretazione adeguatrice secondo cui a fronte della presunzione legale di ricavi non contabilizzati, e quindi “occulti”, scaturente da prelevamenti bancari non giustificati, il contribuente imprenditore può sempre, anche in caso di accertamento analitico-induttivo, opporre la prova presuntiva contraria e in particolare eccepire la «incidenza percentuale dei costi».

Alla luce di tale principio la Cassazione ha ritenuto che occorre riconoscere, anche in mancanza di idonea documentazione, una percentuale di costi presunti a fronte di maggiori ricavi. A tal fine, il giudice può avvalersi dell’ausilio di una consulenza tecnica d’ufficio.

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