Definizione liti pendenti, domanda distinta per ciascun atto
1In sintesi
Nuova opportunità per definire le liti tributarie pendenti in ogni grado di giudizio, Cassazione compresa.
La nuova definizione agevolata (legge di Bilancio 2023, articolo 1, commi 186-205), come sostanzialmente accaduto nelle precedenti “edizioni”, prevede l’annullamento di interessi e sanzioni, rimanendo così dovuta solo l’imposta in una misura che tiene conto del risultato dell’ultima sentenza depositata al 1° gennaio 2023.
La definizione delle controversie tributarie si affianca ad altre sanatorie introdotte sempre con la finanziaria, che potrebbero essere sovrapponibili e quindi occorre una valutazione di convenienza.
2Quali liti definibili
Sono definibili le liti tributarie pendenti all’1 gennaio 2023, in ogni stato e grado del giudizio anche in Cassazione e a seguito di rinvio, in cui sono parte l’agenzia delle Entrate e delle Dogane, il cui ricorso in primo grado sia stato notificato alla controparte entro il 1° gennaio 2023 e che alla data di presentazione della domanda di definizione non ci sia una pronuncia definitiva.
Dovrebbero ritenersi incluse (cfr. circolare 6/2019) le liti instaurate mediante ricorsi affetti da vizi di inammissibilità, in quanto proposti oltre i termini prescritti dalla legge ovvero privi dei requisiti di forma e di contenuto, purché entro l’1 gennaio 2023 sia stato notificato il ricorso in primo grado e per le quali, alla data di presentazione della domanda di definizione, non sia intervenuta una pronuncia della Cassazione che ne abbia statuito l’inammissibilità.
La norma (articolo 1, comma 186) non fa alcun espresso riferimento alla tipologia di atti impugnati (diversamente da quanto previsto nelle pregresse edizioni) e pertanto sono incluse le controversie relative a qualsiasi tipologia di provvedimento.
In concreto, quindi, sono definibili le liti avverso gli avvisi di accertamento, di liquidazione, le cartelle di pagamento, gli estratti di ruolo (sussistendone l’interesse), ecc.. a condizione che la controparte sia l’agenzia delle Entrate o delle Dogane.
Come precisato anche dall’agenzia delle Entrate nella recente circolare 2/2023 del 27 gennaio scorso per identificare le liti in cui è parte l’Agenzia stessa, si fa riferimento alle sole ipotesi in cui quest’ultima sia stata evocata in giudizio o, comunque, sia intervenuta.
Da ciò consegue che non sono definibili le liti nelle quali le Entrate, pur essendo titolare del rapporto giuridico sostanziale dedotto in giudizio, non sia stata destinataria dell’atto di impugnazione e non sia stata successivamente chiamata in giudizio né sia intervenuta volontariamente. Analoga considerazione per l’agenzia delle Dogane.
3Le controversie escluse
Sono espressamente escluse dalla definizione agevolata le controversie concernenti anche solo in parte:
a) le risorse proprie tradizionali previste dall’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), delle decisioni 2007/436/Ce, Euratom del Consiglio, del 7 giugno 2007, 2014/335/Ue, Euratom del Consiglio, del 26 maggio 2014, e 2020/2053/UE, Euratom del Consiglio, del 14 dicembre 2020, e l’imposta sul valore aggiunto riscossa all’importazione;
b) le somme dovute a titolo di recupero di aiuti di Stato ai sensi dell’articolo 16 del regolamento (Ue) 2015/1589 del Consiglio, del 13 luglio 2015.
Sono così escluse le controversie contro (solo) l’agente della riscossione.
Per i tributi locali, invece, ciascun ente potrà autonomamente valutare se consentire o meno la definizione.
4Il costo
In via generale è previsto il pagamento del 100% delle imposte pretese con l’atto impugnato, al netto di sanzioni ed interessi.
Ci sono, poi, una serie di deroghe che riducono l’importo per la definizione e, più precisamente, è dovuto il:
• 90% delle imposte se il ricorso è iscritto nel primo grado (non è sufficiente la mera notifica alla controparte, ma occorre che sia stato iscritto in primo grado);
• 40% delle imposte, se è stata depositata una sentenza di primo grado favorevole al contribuente;
- 15% delle imposte, se è stata depositata una sentenza di secondo grado favorevole al contribuente;
• 5% per le controversie pendenti innanzi alla Corte di Cassazione per le quali l’Ufficio è soccombente in tutti i precedenti gradi.
In caso di accoglimento parziale del ricorso, l’importo del tributo è dovuto per intero sulla parte di atto confermata dalla pronuncia e in misura ridotta, secondo le percentuali “ordinariamente” previste, per la parte annullata.
E quindi:
a) in caso di reciproca soccombenza nella pronuncia della Corte di Giustizia tributaria di primo grado, si applicherà il 40% sulla parte del valore della lite per la quale tale pronuncia ha statuito la soccombenza dell’Agenzia e il 100% sulla restante parte;
b) in caso di reciproca soccombenza nella pronuncia della Corte di Giustizia tributaria di secondo grado, si applicherà il 15% sulla parte del valore della lite per la quale tale pronuncia ha statuito la soccombenza dell’Agenzia e il 100% sulla restante parte.
Le controversie relative esclusivamente alle sanzioni non collegate al tributo sono definibili con il pagamento del 15% se all’1 gennaio 2023 è stata depositata una sentenza favorevole al contribuente e con il 40% in tutte le altre ipotesi.
La verifica dello stato della controversia va effettuata alla data dell’1 gennaio 2023 a nulla rilevando eventuali pronunce depositate successivamente (fermo restando l’eventuale definitività alla data di presentazione della domanda).
Ai fini della determinazione dell’effettivo valore della controversia, devono escludersi gli importi che non formano oggetto della materia del contendere, come avviene, in caso di contestazione parziale dell’atto impugnato, di formazione di un giudicato interno, di conciliazione parziale o mediazione ovvero di parziale annullamento in autotutela.In tali ipotesi, occorrerà quindi considerare solo il valore oggetto effettivamente del giudizio.
5La domanda e il pagamernto
Per la definizione agevolata occorre presentare apposita domanda all’agenzia delle Entrate parte in giudizio, ad opera del soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio pendente oggetto di definizione o di chi vi è subentrato o ne ha la legittimazione, ad esempio a titolo di successione universale o particolare (ex articoli 110 e 111 Codice di procedura civile).
La domanda deve essere presentata entro il 30 giugno 2023 per ciascuna controversia autonoma Per controversia autonoma si intende quella relativa a ciascun atto impugnato.
Ne consegue così che nell’ipotesi in cui il medesimo ricorso introduttivo del giudizio siano stati impugnati più atti, il ricorrente è tenuto a presentare una distinta domanda per ciascun atto, così come se c’è una sentenza che ha riunito più procedimenti, occorre considerare ciascun provvedimento.
Non sono ammesse definizioni parziali dei singoli atti impugnati. In attesa dell’attivazione del servizio di trasmissione telematica è consentita la presentazione della domanda di definizione tramite invio all’indirizzo di posta elettronica certificata (Pec) dell’Ufficio che è parte nel giudizio.
Successivamente, la trasmissione telematica va effettuata:
a) direttamente dai contribuenti richiedenti;
b) mediante un soggetto incaricato della trasmissione delle dichiarazioni utilizzando esclusivamente i canali telematici dell’agenzia delle Entrate.
Non sono ammesse modalità di presentazione diverse, neppure mediante servizio postale o posta elettronica ordinaria o certificata, salvo l’invio tramite pec precedentemente all’attivazione dell’apposito canale telematico.
Una volta determinato il costo occorre scomputare le somme complessivamente versate in pendenza di giudizio a qualsiasi titolo.
In concreto quindi, occorre considerare quanto versato a titolo di imposte, interessi e sanzioni.
In ogni caso, eventuali importi corrisposti in eccedenza rispetto al dovuto, non saranno rimborsati.
Nell’ipotesi in cui il totale dovuto fosse pari a zero, una volta decurtate le somme già versate, la definizione si perfezionerà solo con la presentazione della domanda.
Si precisa che non possono considerarsi le sanzioni corrisposte per l’acquiescenza in quanto si tratta di somme “estranee” al giudizio.
La norma esclude poi espressamente la compensazione con la conseguenza che il contribuente dovrà corrispondere l’eventuale differenza dovuta. Il pagamento può avvenire in un’unica soluzione oppure in un numero massimo di 20 rate trimestrali di pari importo, entro il 30 giugno, 30 settembre, 20 dicembre e 31 marzo di ciascun anno.
Sulle rate successive alla prima si applicano gli interessi legali calcolati dalla data del versamento della prima rata.
6Gli effetti della definizione
La definizione si perfeziona con la presentazione della domanda e con il pagamento dell’importo dovuto o della prima rata entro il 30 giugno 2023.
Qualora non ci siano importi da versare, la definizione si perfeziona con la sola presentazione della domanda.
La definizione agevolata retroagisce e prevale sull’efficacia delle sentenze depositate e non passate in giudicato e ciò anche in riferimento alle pronunce depositate successivamente al 1° gennaio 2023.
Ovviamente tali considerazioni valgono per le sentenze non passate in giudicato, poiché in tal caso, risulterebbe in ogni caso precluso l’accesso alla definizione agevolata. In tale contesto, la norma non ha previsto una sospensione automatica del giudizio in corso, ma è facoltà del contribuente richiederla.
L’interessato, quindi, può presentare al Giudice dinanzi al quale pende la controversia, istanza affinché sia sospeso il giudizio, dichiarando si volersi avvalere (ovvero valutare) l’adesione alla definizione agevolata.
Il processo si sospende così fino al 10 luglio 2023, data entro la quale il contribuente deve depositare nel fascicolo, la domanda di definizione presentata ed il pagamento eseguito (se dovuto).
Il processo, successivamente, è dichiarato estinto con decreto del Presidente della sezione o con ordinanza in camera di consiglio se è stata fissata la data della decisione.
7Il diniego
Il comma 200 stabilisce che l’eventuale diniego della definizione deve essere notificato entro il 31 luglio 2024, con le modalità previste per la notificazione degli atti processuali (fatta salva qualche rara eccezione tramite Pec).
Il diniego è impugnabile entro 60 giorni dalla notificazione dinanzi all’organo giurisdizionale presso il quale pende la controversia.
Nel caso in cui la definizione della controversia è richiesta in pendenza di impugnazione, la relativa sentenza può essere impugnata, anche oltre il termine ordinario (di regola 6 mesi dal deposito ovvero 60 giorni in caso di notifica), unitamente al diniego della definizione entro 60 giorni dalla notifica di quest’ultimo.
In altri termini, poiché il diniego potrebbe giungere al contribuente a termini di impugnazione ormai spirati, è possibile proporre appello ovvero ricorso in Cassazione avverso la pronuncia unitamente al diniego entro 60 giorni dalla sua ricezione.
Analogo beneficio è previsto per l’Ufficio, il quale può impugnare la sentenza entro il medesimo termine. Se nelle more del diniego, il processo è stato dichiarato estinto, l’eventuale diniego della definizione è impugnabile dinanzi all’organo giurisdizionale che ha dichiarato l’estinzione e tale diniego è motivo di revocazione del provvedimento di estinzione pronunciato.Il termine per impugnare il diniego della definizione e per chiedere la revocazione è di 60 giorni dalla notificazione del diniego.
8La mancata adesione
Se il contribuente non perfeziona la definizione, il processo, anche eventualmente sospeso, prosegue secondo le ordinarie regole.
9Le criticità
Ci sono ancora alcune criticità e precisamente:
• l’atto di sole sanzioni non collegate al tributo, pendenti in Cassazione, i cui giudizi di merito sono stati tutti favorevoli al contribuente, il dubbio è se possano beneficiare della definizione al 5% come previsto per le liti relative anche ad imposte. Tale ipotesi non sembra possibile poiché la definizione delle sanzioni è disciplinata da regole specifiche che non prevedono tale percentuale. Quindi, una simile controversia è definibile con il pagamento del 15%.
• l’alternativa della rottamazione per le sanzioni. Un’altra ipotesi da valutare con attenzione riguarda il caso delle controversie relative a sole sanzioni, per le quali è stata effettuata già l’iscrizione a ruolo, per le quali attraverso la rottamazione è possibile annullare completamente la pretesa. Se l’iscrizione a ruolo risulta già al 30 giugno 2022, è possibile presentare domanda di definizione del carico ad agenzia delle Entrate Riscossione in base ala quale sono dovute solo le imposte, senza interessi e sanzioni. ne consegue che ove risultassero iscritte a ruolo solo sanzioni, a prescindere che siano definite o meno le relative imposte, la cartella si può definire senza alcun pagamento.
• le controversie in materia di crediti R&S. In presenza di controversie tributarie pendenti a seguito di atti di recupero di crediti di imposta ricerca e sviluppo si può effettuare alternativamente la definizione delle liti o il riversamento del credito (senza interessi e sanzioni) di cui all’articolo 5 del Dl 146/2021. Si ritiene tuttavia che se la contestazione (per ciascun anno) non sia superiore a 50mila euro convenga optare per la definizione. Al contrario, per importi superiori a tale cifra, potendosi astrattamente configurare il reato di indebita compensazione di crediti non spettanti o inesistenti (normalmente ipotizzato dai verificatori nei recuperi dei crediti ricerca e sviluppo), conviene il riversamento che configura una specifica causa di non punibilità.