Imposte

Discriminato chi incassa dividendi senza il tramite di intermediari residenti

di Marco Piazza

Accade frequentemente che persone fisiche residenti in Italia percepiscano dividendi erogati da società residenti in Stati esteri a fiscalità ordinaria o da società residenti in Stati esteri a fiscalità privilegiata, ma con azioni negoziate in mercati regolamentati. In questo caso se il dividendo è percepito con l’intervento di un intermediario finanziario italiano, questo opera la ritenuta del 26% su una base imponibile costituita dal dividendo al netto della ritenuta eventualmente operata nello Stato estero (cosiddetto netto frontiera) ex articolo 27, comma 4-bis Dpr 600/73. Il reddito, in questo caso, non deve essere più indicato in dichiarazione.

Se, invece, il dividendo viene percepito all’estero senza l’intervento di un intermediario residente, deve essere indicato nel quadro RM della dichiarazione dei redditi e assoggettato a imposta sostitutiva nella stessa misura della ritenuta alla fonte a titolo di imposta applicata in Italia sui redditi della stessa natura (articolo 18 del Tuir). Parrebbe quindi che il reddito imponibile vada assunto al netto della imposta estera. Tuttavia, le istruzioni alla colonna 3 del rigo RM 12 dispongono che vi si debba indicare l’ammontare del reddito, «al lordo di eventuali ritenute subìte nello Stato estero». Si crea quindi un’irragionevole discriminazione fra i contribuenti che incassano il dividendo mediante intermediario residente e quelli che devono compilare la dichiarazione.

L’assoggettamento a imposte del reddito lordo può risultare molto onerosa, specie per qui contribuenti che non siano stati messi in condizione di ottenere lo sgravio delle eventuali imposte estere eccedenti i limiti previsti dalle convenzioni contro le doppie imposizioni con lo Stato dell’emittente. Per esempio, un dividendo erogato da una società svizzera, che subisce una ritenuta del 35% (15% con la convenzione) finisce con l’essere tassato al 61% (41% con la convenzione)

L’agenzia delle Entrate, nelle risposte fornite ieri, conferma l’interpretazione meno favorevole al contribuente, ossia che nella colonna 3 del rigo RM12 va indicato l’ammontare del reddito, al lordo di eventuali ritenute subìte nello Stato estero in cui il reddito è stato prodotto. Nella risposta si aggiunge che il contribuente ha la facoltà di non avvalersi del regime di imposizione sostitutiva e in tal caso compete il credito d’imposta per le imposte pagate all’estero, il che – in realtà – potrebbe essere conveniente in casi rari.

La facoltà di optare per la tassazione ordinaria con il credito d’imposta dovrebbe essere meglio approfondita in quanto l’articolo 18, comma 1 la escluderebbe.

Altro chiarimento fornito dall’Agenzia riguarda un codice da indicare nel quadro RM della dichiarazione dei redditi comparso già da qualche anno. Le istruzioni al rigo RM12, colonna 1, infatti, chiedono di indicare il codice “L” nel caso di “proventi derivanti dalla partecipazione a organismi di investimento collettivo del risparmio istituiti in Italia, diversi dagli Oicr immobiliari, e a quelli istituiti in Lussemburgo, limitatamente alle quote o azioni collocate nel territorio dello Stato, percepiti senza applicazione della ritenuta, al di fuori dell’esercizio d’impresa commerciale”. L’indicazione è evidentemente riferita al caso in cui l’investitore abbia negoziato la quota di un fondo italiano senza l’intervento di un intermediario (risoluzione 101/E/14). Non era chiaro, quindi, il riferimento delle istruzioni ai fondi lussemburghesi. La risposta dell’Agenzia chiarisce che il codice L non deve essere utilizzato per tutti i fondi lussemburghesi, ma solo per quelli “storici” (autorizzati al collocamento in Italia ex articolo 11-bis Dl 512/83), che sono equiparati ai fondi italiani, ove i proventi non siano stati assoggettati a ritenuta da parte dell’intermediario italiano.

Le risposte dell’amministrazione finanziaria/1

Le risposte dell’amministrazione finanziaria/2

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