Il CommentoImposte

Dividendi, la progressività tutela i piccoli contribuenti

La tassazione francese può costituire un modello anche per l’Italia

di Raffaele Rizzardi

Il recente documento di indirizzo delle commissioni parlamentari sulla riforma fiscale può aver suscitato perplessità se si isolano singole proposte dal contesto e dalla sistematica dell’ordinamento tributario.

Una di queste riguarda l’unificazione della tassazione su tutti i redditi di capitale, che potrebbe portare a una riduzione della cedolare ordinaria del 26% e ad un aumento di quella agevolata del 12,50%.

Questo documento ribadisce la necessità di creare un’unica categoria di redditi finanziari, accorpando quelli di capitale e “diversi”, tema che avevamo trattato in un precedente intervento sul quotidiano del 7 giugno scorso, evidenziando l’illegittima tassazione di redditi falcidiati da minusvalenze patrimoniali. Per questo argomento la relazione pone in evidenza anche le anomalie e le distorsioni nella ricerca di strumenti che qualificano il loro reddito come capital-gain e non come interesse, per poter recuperare le perdite da realizzo dei titoli.

Per quanto riguarda la tassazione dei dividendi, avevamo avuto modo di dimostrare che il 26% attuale corrisponde almeno ad una tassazione del 43,76%. “Almeno” perché esistono variazioni in aumento del reddito d'impresa, oltre alla tassazione delle riserve che non saranno mai distribuite nel corso della vita della società.

Riteniamo ora opportuno approfondire il tema della doppia tassazione del reddito prodotto dalle imprese e di quello distribuito, con una riflessione sul sistema tributario esistente in Italia dal 1977 al 2003, caratterizzato dalla facoltà di far concorrere al reddito il dividendo, usufruendo del credito di imposta.

Considerando che questo argomento è nato in Francia (avoir fiscal) e che questo Paese ha una tradizione secolare nel razionalismo, abbiamo cercato nel sito ufficiale del ministero delle finanze (service-public.fr – fiscalité des distributions de dividendes) quale è il regime attuale.

In alternativa ad una tassazione secca, complessivamente del 30% (12,80% di imposta sul reddito e 17,20% di contributi sociali), il singolo contribuente può optare per il concorso al reddito del dividendo. Negli esempi ufficiali troviamo alcuni aspetti interessanti:

O il dividendo concorre al reddito per il 60%, per tener conto della tassazione già avvenuta sul reddito prodotto dalla società (assomiglia al 58,14% che avevamo al riguardo);

Ola base imponibile viene ulteriormente ridotta di una quota della contribuzione sociale e dei costi per l’acquisto dei titoli e la loro conservazione (diritti di custodia, ad esempio).

Nell’ambito della nostra riforma, per evitare vantaggi a titolari di elevatissimi dividendi, si potrebbe articolare il relativo concorso al reddito in due fasce:

O la prima – ipotizziamo di 30mila euro di dividendi – con la tassazione personale progressiva opzionale, secondo regole analoghe a quelle sopra indicate;

O la seconda obbligatoria al superamento del limite di dividendi.

Non dobbiamo dimenticare che il maggior numero di percettori dei dividendi non sono Paperoni, ma persone che hanno costruito il terzo pilastro previdenziale con l’acquisto di azioni ad alta cedola – per lo più utilities controllate dallo Stato – e che con una pensione modesta e la cedolare secca sui dividendi non possono nemmeno utilizzare gli oneri deducibili o detraibili.

Ancor più interessante è la scala di progressività dell’imposta personale francese: il primo scaglione (sino a 10.084 euro) è ad aliquota zero, poi si passa all’11% sino a 25.710 euro.

Non è un punto da trascurare nella riforma: noi abbiamo il primo scaglione al 23%, che determina una pluralità di aree no-tax con un gioco perverso e cervellotico di detrazioni legate alla tipologia di reddito.

Se l’imposta personale e progressiva è un’imposta unica sul reddito, la no tax area deve essere sicuramente uguale per tutti, in quanto il minimo vitale è identico qualunque sia la fonte del reddito.