Il CommentoImposte

Doppio prelievo e aliquote al top pesano sui redditi finanziari

Si è diffusa la convinzione (errata) che gli investimenti siano poco tassati

di Raffaele Rizzardi

Per la prossima riforma tributaria vi è consenso unanime in merito alla necessità di alleviare l’onere fiscale sui redditi da lavoro, sia dipendente che autonomo, nella convinzione – come vedremo errata – che il reddito finanziario sia particolarmente agevolato e che quindi un ridimensionamento verso il lavoro possa essere conseguito aggravando la fiscalità finanziaria.

Risparmio tassato due volte

Risale al grande economista e Presidente della Repubblica, Luigi Einaudi, la riflessione che non possono essere tassate allo stesso modo la parte di reddito guadagnato destinata al consumo e quella destinata al risparmio, che è capitale che genera reddito; altrimenti il risparmio verrebbe colpito una prima volta come reddito prodotto e risparmiato, ovvero capitale, e una seconda volta come frutto del risparmio stesso, ovvero reddito, altra faccia del capitale.

Redditi finanziari, di capitale
e redditi diversi

L’anomalia più rilevante del sistema attuale di tassazione, specie dopo l’abolizione del credito d’imposta sui dividendi con la riforma del Testo unico del 2004, riguarda il mantenimento della doppia categorizzazione dei redditi finanziari, tra redditi di capitale e redditi diversi. Una legge delega del 2003 ne aveva previsto l’unificazione, che non fu mai attuata perché il fisco ne ritrae dei notevoli benefici, ma il risparmiatore può essere colpito da tassazione anche in assenza di reddito.

Come viene remunerato chi investe i propri risparmi in una partecipazione societaria? Le possibilità sono tre:

1 riscuotere un dividendo;

2 essere liquidato in occasione del recesso o della cessazione della società;

3 vendere la partecipazione.

Le modalità 1 e 2 danno luogo a redditi di capitale, e nel caso in cui la liquidazione non consenta di recuperare il capitale investito la perdita non è fiscalmente riconosciuta in quanto i redditi di capitale possono essere solo positivi.

La vendita in utile della partecipazione dà luogo ad un capital gain, mentre quella in perdita ne consente il riporto su futuri capital gain ma, data la compartimentazione tra redditi di capitale e diversi, non è raro trovarsi in questa situazione: stacco di cedole (reddito di capitale) positivo per 1.000 – perdita da cessione di titoli di pari importo.

Il reddito di capitale viene tassato, anche se la posizione finanziaria del contribuente è nulla, e quindi l’aliquota di tassazione è infinita.

Un’altra anomalia derivante da questa separazione dei redditi riguarda la rideterminazione del costo fiscale delle partecipazioni non quotate. La norma risale al 2001, prima del Tuir ora vigente, ed è stata via via prorogata, anche al 2021, con una aliquota di imposta sostitutiva dell’11% sul valore rivalutato e non sulla plusvalenza affrancata. La formulazione del 2001 faceva riferimento unicamente al capital gain, e pertanto l’interpretazione consolidata dell’amministrazione finanziaria è sulla inutilità di aver pagato questa imposta se anziché vendere (reddito diverso) si è liquidati per la stessa somma da parte della società (reddito di capitale).

A parte la modalità incongrua di continuare a prorogare una norma non contestualizzata nella sistematica ora vigente, è sicuramente in violazione del principio di uguaglianza tassare in modo diverso chi è uscito dalla società con la vendita piuttosto che con la liquidazione.

Una delle tante anomalie da segnalare per questa segmentazione riguarda la partecipazione negli Etf, prodotti finanziari sempre più diffusi per i loro costi più contenuti rispetto ad altri. I componenti positivi, sia come stacco cedola che come utile da cessione sono considerati redditi di capitale, la perdita da cessione è invece una minus nei redditi diversi, così che chi vende due Etf, uno in utile di 1.000 e l’altro in perdita per pari importo, paga 260 di imposte su un reddito inesistente.

Il dividendo tassato al 43,76%

Ma non è un errore? Adesso i dividendi da partecipazioni qualificate o meno subiscono la ritenuta del 26 per cento. Si arriva al 43,76%, cioè a più dell’aliquota massima dell’Irpef, considerando che il dividendo è stato già tassato come reddito di impresa della società che lo eroga. Con l’Ires al 24%: 100 – 24 = 76 massimo distribuibile x 26% = 19,76. Tassazione complessiva 24 + 19,76 = 43,76.

La patrimoniale del 2 per mille

Ultimo, ma non per importanza, quando i rendimenti sono bassi l’effetto sul reddito del “bollo” cioè della patrimoniale del 2 per mille del patrimonio. Su un rendimento medio dell’1% - ben superiore a quello delle nuove emissioni - la patrimoniale vale da sola il 20% del reddito.