Equo compenso ampio nei rapporti con la Pa
C’è un dibattito importante – finalmente - sul tema dell’equo compenso al quale il Partito democratico non si è sottratto, anzi: da tempo, attraverso il Dipartimento che presiedo, abbiamo avviato il confronto con casse e associazioni, con approccio globale e non di parte, sapendo che un tema così delicato non va affrontato strumentalmente, rischio sempre presente quando si avvicina la fine di una legislatura.
La sentenza 4614 del Consiglio di Stato, che ammette bandi e affidamenti gratuiti, ha esasperato la condizione di coloro che al pubblico forniscono ogni giorno prestazioni irrinunciabili, senza le quali la macchina amministrativa sarebbe un corpo senz’arti.
Efficace l’intervento di Marcello Clarich pubblicato il 5 ottobre: la china presa è pericolosa. Sostituire al denaro l'accesso a canali riservati mette a rischio l'efficacia e l'efficienza delle amministrazioni. Garantire invece al professionista un equo compenso in base alla prestazione richiesta combatte la concorrenza sleale e salvaguarda la Pa sia per la qualità del servizio domandato, sia per la sua imparzialità presente e futura.
Da questo punto di vista, la scelta, poi stralciata, del Ddl di bilancio di riservare questa tutela ad una sola categoria, quella degli avvocati, sarebbe stata lacunosa. Il punto di partenza per un percorso serio e giusto non può che essere una tutela universale per i professionisti nei rapporti con la pubblica amministrazione, soprattutto oggi che queste pratiche hanno ricevuto legittimità giurisprudenziale: l'affermazione di questo principio fondamentale deve valere per tutti, indipendentemente dalle categorie o dalle appartenenze a ordini e collegi.
Servono quindi norme che consentano di regolare i rapporti di committenza con la Pa vietando bandi, incarichi e affidamenti in deroga a parametri di riferimento per le prestazioni, e tali divieti devono operare ex ante, consentendo al professionista di percepire il proprio equo compenso senza dover ricorrere alla sede giudiziale.
Un tale intervento, da veicolare con la legge di Bilancio, rafforzerebbe l’idea universalistica che il Partito Democratico ha impresso e vuole imprimere al lavoro e ai suoi diritti.