Fallimenti, legale nel passivo solo con mandato dell’ente
Non ha diritto ad essere ammesso al passivo fallimentare per recuperare i suoi crediti, l’avvocato che difende il legale rappresentante della società, per reati commessi nell’esercizio delle sue funzioni, se manca la prova che l’assistenza é nell’interesse della persona giuridica. La Cassazione, con l’ordinanza 19737 depositata ieri, respinge il ricorso dell’avvocato contro il decreto con il quale veniva respinta la sua opposizione allo stato passivo di una Srl, fallita nel corso del procedimento penale.
Per il Tribunale l’ammissione doveva essere subordinata alla prova che l’incarico professionale provenisse proprio dall’ente. I giudici prendono, infatti, le distanze dalla tesi sostenuta nel ricorso secondo la quale esisterebbe una sorta di automatismo nel riferire all’ente il potere di rappresentanza. Un’interpretazione in contrasto con la ratio dell’articolo 2475-bis del Codice civile, che espressamente riferisce alla società solo le “azioni” svolte dagli amministratori nell’ambito dell’attività di gestione, facendo quindi ritenere escluso tutto ciò che è fuori dalla gestione.
La riferibilità all’ente, conclude la Suprema corte, sarebbe stata certa se il reato fosse stato contestato alla società, facendo così rientrare la difesa nel raggio d’azione dell’articolo 2745-bis del Codice civile sul potere rappresentativo. In caso di reato riferibile alla persona fisica invece, per addossare l’obbligazione alla società serve il conferimento di uno specifico incarico. Sempre ieri la Suprema corte è tornata sui crediti professionali con altre due ordinanze. Con la prima (19735) ha chiarito che la domanda di ammissione al passivo fallimentare da parte di uno studio associato, nel caso specifico di avvocati tributaristi, fa presumere che il rapporto d’opera non sia stato personale, facendo così venire meno i presupposti per il riconoscimento del privilegio. La domanda da parte dello studio tuttavia non esclude la dimostrazione della cessione del credito della prestazione svolta dal singolo associato. Una prova considerata invece ininfluente dal decreto impugnato che viene cassato con rinvio anche per la liquidazione delle spese. Ancora un no all’ammissione al passivo dell’avvocato (ordinanza 19734) per l’assenza della prova della ragione del credito. I giudici precisano, infatti, che la parcella liquidata dal Consiglio dell’ordine - tra l’altro contestata sia dalla società in bonis sia, nella fase di ammissione dal curatore - non è opponibile alla massa fallimentare «dal momento che l’intervenuto fallimento determina una sostituzione soggettiva della procedura rispetto alla società in bonis».
L’ordinanza 19737/2017 della Cassazione
L’ordinanza n. 19735/2017 della Cassazione
L’ordinanza n. 19734/2017 della Cassazione