Il CommentoAdempimenti

Fisco e pandemia: uno stress test per gli studi non più ripetibile

La sovrapposizione di proroghe e scadenze ha moltiplicato gli impegni per i professionisti con meno risorse

di Raffaele Rizzardi

L’anno per sta per chiudersi non è stato facile per nessuno, contribuenti, consulenti e amministrazione finanziaria. Per questo aspetto del rapporto tributario comprendiamo benissimo le criticità conseguenti alla continua evoluzione normativa in un contesto che, tra l’altro, non ha consentito le riunioni in presenza per il necessario “concerto” tra i vari uffici pubblici.

L’ordinamento tributario rischia di perdere sempre più la sua coerenza, un elemento che la Corte di giustizia considera essenziale, con l’evidente rischio di errori e l’automatismo delle sanzioni.

Per fortuna che l’Unione europea ha rinviato al 1° luglio 2021 il grande salto operativo per l’Iva nelle vendite ai privati consumatori, che di regola sarà quella del Paese di destinazione, ma con il versamento alla propria amministrazione finanziaria. Non sarà più necessario aprire partite Iva in giro per l’Europa, come hanno dovuto fare non poche piccole e medie imprese, presenti nel catalogo dei grandi siti per le vendite online, alle quali la piattaforma chiede di spedire direttamente la merce al cliente privato.

Sei mesi rischiano di essere pochi, considerando che ad oggi non abbiamo nemmeno recepito le soluzioni “rapide”, già in vigore dal 1° gennaio 2020 e non ancora formalizzate nella normativa interna.

La sovrapposizione delle proroghe e delle scadenze, attuate senza un adeguato preavviso e con criteri di spettanza del beneficio differenziati, sia per codice Ateco che per le condizioni di riduzione del fatturato o per l’entità del reddito a disposizione del soggetto danneggiato dalla crisi, pone in stato di stress gli studi professionali, chiamati ad ulteriori adempimenti senza poter incrementare le risorse. Anzi abbiamo parecchi sentori di criticità nella gestione dei consulenti, qualificati con l’orrendo termine di intermediari, che non riescono ad incassare le parcelle dai loro clienti in difficoltà finanziaria: ovvio che si preferisce non pagare i professionisti piuttosto che le materie prime o la merce che occorre per continuare a lavorare.

Per non parlare dei clienti degli studi, che senza mezzi termini chiedono un taglio significativo del corrispettivo che remunera il lavoro del professionista e dei suoi collaboratori. Costringendo ad interrompere pluriennali e consolidati rapporti d’impiego, la cui remunerazione rischia di compromettere l’equilibrio economico del datore di lavoro.

Il 1° gennaio entreranno in vigore le nuove codifiche per la fatturazione elettronica, con la prospettiva di ottenere dal sistema le bozze dei registri Iva, nonché delle liquidazioni periodiche e della dichiarazione annuale. L’agenzia delle Entrate ha recentemente pubblicato una «Guida» e anche l’associazione delle case di software ha messo a disposizione una ulteriore serie di Faq (quelle dell’agenzia delle Entrate sono state in buona parte riscritte il 15 ottobre scorso). Bisogna avere il tempo di metabolizzare queste novità, per evitare il rischio di vedersi respingere dallo Sdi le fatture errate.

Tornando a parlare di coerenza del sistema di fatturazione elettronica, non si capisce perché la possibilità di respingere una fattura errata, o addirittura estranea al destinatario, sia ancora circoscritta alle fatture indirizzate alla pubblica amministrazione.

Le causali di rifiuto sono state recentemente definite con il Dm 132/2020. Prima di questo provvedimento, in vigore dal 6 novembre 2020, il rifiuto da parte della pubblica amministrazione non andava nemmeno motivato.

È però singolare che questo regolamento sia stato adottato in forza dell’articolo 15-bis del Dl 119/2018, secondo cui le modalità di rifiuto avrebbero dovuto essere armonizzate con le regole tecniche del processo di fatturazione elettronica tra privati. Che invece, a tutt’oggi, non prevede la possibilità di rifiutare una fattura errata.

Non sarà nemmeno facile trovare il tempo per una adeguata e costruttiva risposta alla consultazione sulla nostra webtax, pubblicata il 17 dicembre con richiesta di rispondere entro la fine di questo stesso mese. Conosciamo peraltro le difficoltà di coordinamento a livello europeo per questo tributo: la Commissione vorrebbe la partenza simultanea in tutti i Paesi con regole condivise, ma alcuni Stati preferiscono avviare prima la loro tassazione.

E a proposito di fiscalità internazionale, si vede una luce in fondo ad un tunnel, ma ancora lunghissimo. L’Ocse, con la pubblicazione dei documenti relativi al Pillar 1 della futura tassazione definisce “tradizionali” (cioè obsoleti) i criteri del transfer price e della stabile organizzazione, criteri con cui peraltro dovremo convivere a lungo. Basti pensare al perfezionamento dei criteri per la risoluzione delle liti fiscali internazionali, che forma oggetto del provvedimento delle Entrate del 16 dicembre, in attuazione della direttiva Ue 2017/1852 del 10 ottobre 2017, recepita con il decreto legislativo 49/2020.

Verrà pertanto il giorno, si spera, in cui le grandi imprese dovranno dichiarare il reddito consolidato mondiale, che sarà poi suddiviso tra i Paesi in cui sussiste una «presenza tassabile».