Professione

Giudice chiamato a decidere in base alle regole preesistenti

di Riccardo Borsari

Non sono molte le sentenze che trattano la tematica del contenuto del modello organizzativo che l’ente è chiamato ad adottare per andare esente dalla responsabilità da reato in base agli articoli 6 e 7 del Dlgs 231/01.

Al netto della – notoria – ridotta applicazione della disciplina del decreto nella giurisprudenza, la ragione della scarsità delle pronunce in argomento può essere attribuita al fatto che la valutazione del modello avviene in sede di accertamento della responsabilità dell’ente, cioè quando oramai si è già verificato il reato-presupposto che il modello intendeva prevenire.

La Cassazione è nondimeno di recente intervenuta affermando importanti principi utili a orientare, nel silenzio del Decreto 231, il sindacato giudiziale sui modelli e, correlativamente, gli enti nelle loro scelte di compliance. Nella sentenza sul caso “Impregilo” (n. 4677/14), la Corte ha negato che il giudice possa impiegare, come parametro di valutazione, personali convincimenti od opinioni soggettive in quanto il Dlgs 231/01, lungi dal configurare una disciplina indeterminata, delinea agli articoli 6 e 7 un contenuto essenziale dei Mog. Ciascun ente può inoltre mutuare le prescrizioni organizzative di dettaglio dalle linee direttrici generali dell’ordinamento (di rango costituzionale in primis), dai principi della logica e dalla consolidata esperienza (ossia, in particolare, dalla disciplina di settore, dalle linee guida emanate dalle associazioni di categoria, dagli atti di autoregolamentazione e dalle best practices diffuse a livello nazionale o internazionale). In questa prospettiva, le regole cautelari che il giudice è chiamato a valutare in sede di verifica dei Mog devono essere preesistenti al giudizio e individuabili ex ante. I modelli organizzativi idonei sono pertanto quelli forgiati dalle migliori conoscenze, consolidate e condivise nel momento storico in cui è commesso l’illecito e calate nella specifica realtà organizzativa di ciascun ente.

Detta impostazione è stata confermata dalle Sezioni Unite nella sentenza sulla vicenda “Thyssenkrupp” (n. 38343/14), che, nel disattendere la censura di incostituzionalità per indeterminatezza dell’articolo 6 del Dlgs 231, ha allontanato il rischio che il giudice possa costruire retrospettivamente una regola cautelare non riconoscibile come tale al momento del fatto, giacché il sindacato richiesto dal Decreto 231 sul modello organizzativo deve intendersi quale giudizio strettamente normativo teso a confrontare le cautele adottate con quelle preesistenti e prevedibili nel caso concreto. Lo stesso criterio viene ritenuto applicabile per i Mog adottati dall’ente in seguito alla commissione del reato, con la sola peculiarità che essi, in aggiunta, devono rimuovere le carenze dell’apparato organizzativo già emerse in passato.

Come si è appena ricordato, la sentenza “Impregilo” ha fatto esplicito riferimento alla «consolidata esperienza» quale “fonte” per la redazione dei modelli organizzativi. Nello specifico, i Giudici hanno preso posizione sul rinvio ai codici di comportamento redatti dalle associazioni rappresentative ai sensi dell’articolo 6, comma 3, del Dlgs 231/01, affermando che essi, pur potendo essere assunti come base di elaborazione del modello, necessitano di essere calati nella realtà concreta del singolo ente. Ciò in quanto spetta sempre al giudice il vaglio sull’adeguatezza dei modelli, dovendosi escludere qualsivoglia “privatizzazione” della relativa regola di giudizio nel caso concreto.

In questa prospettiva, il ricorso a strumenti certificati e accreditati a livello internazionale non viene ritenuto sufficiente a determinare l’adeguatezza del modello stesso. Così è avvenuto, per esempio, per i modelli aziendali Iso Uni En Iso 1990 (in ragione dell’assenza di un riferimento ai reati-presupposto che si intendevano prevenire e alla limitazione a profili legati alla qualità del lavoro) o per il modello cosiddetto “Deloitte” (in ragione delle carenze sul piano del codice di comportamento e delle relative procedure, del codice etico, delle procedure per la conoscenza dei modelli e del sistema sanzionatorio) (Cass., sent. n. 41768/17).

Su un piano più pratico, come detto non sono molte le pronunce che approfondiscono le caratteristiche del modello nei singoli casi di specie. La citata sentenza “Impregilo”, trattando dell’emissione di comunicati stampa ritenuti integranti il reato di aggiotaggio in quanto non veritieri, ha osservato come, nell’ipotesi considerata, la mancata attribuzione a un soggetto terzo del controllo preventivo in ordine ai comunicati rivolti al pubblico dalla dirigenza determinasse l’inidoneità del modello organizzativo.

Un esempio (raro) di modello reputato idoneo si rinviene invece in una pronuncia del Tribunale di Milano (sent. 24 settembre 2014) relativa ad un incidente mortale avvenuto in un cantiere per la costruzione di una stazione ferroviaria. La responsabilità di uno degli enti imputati è stata esclusa, fra gli altri motivi, per l’adozione di un sistema di gestione della sicurezza conforme allo standard Ohsas 18001 del 2007, richiamato dall’articolo 30 del Dlgs 81/08. In fase di attuazione delle procedure, erano inoltre stati disposti accertamenti sul tronco ferroviario, i quali avevano dato esito positivo. Infine, l’ente aveva provveduto tempestivamente ad aggiornare il modello alla normativa medio tempore intervenuta.

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