Holding industriali, assimilazione al bivio tra tesoreria continuativa e occasionale
Nell’ambito dei gruppi industriali, le società prive di attività ma con cassa reinvestita nel gruppo rientrano tra i soggetti assimilati alla holding industriale; non vi è assimilazione, invece, per le società svolgenti attività industriale o commerciale che effettuino una saltuaria operazione finanziaria, ancorché rilevante e tale da far sforare il parametro di cui all’articolo 162-bis, comma 3, Tuir. Sono questi due importanti chiarimenti contenuti nell’esaustiva circolare Assonime n. 16 del 24 luglio 2019, riguardante la definizione degli intermediari finanziari e i criteri identificativi delle holding alla luce del Dlgs n. 142/2018, che meritano di essere sottolineati.
Partiamo dal primo punto, in merito al quale Assonime, in considerazione della ratio della norma di assimilazione di cui all’art. 162-bis, osserva che per la sussistenza del requisito del possesso di attività di natura finanziaria (cui è subordinata l’assimilazione alle holding) non sembra necessaria la presenza di una attività operativa finanziaria gestita in modo dinamico.
Pertanto, secondo l’associazione, si deve ritenere che la mera titolarità di elementi patrimoniali finanziari, nel rispetto dei requisiti dimensionali di prevalenza di cui al comma 3, e la loro destinazione a servizio delle altre entità del gruppo di appartenenza, comporta l’assimilazione di una società alla holding industriale ai sensi della lett. c) del comma 1 dell’articolo 162-bis.
Deve quindi applicare la disciplina delle holding industriali non solo la società che svolga all’interno del gruppo un servizio attivo di tesoreria, ma anche quella che, trovandosi per svariati motivi con significativi surplus finanziari (ad esempio per avere ceduto una partecipazione, un’importante attività o un ramo d’azienda), non reimpieghi queste eccedenze nella propria attività, ma le destinino stabilmente a servizio del gruppo, ad esempio depositandole in società del gruppo stesso deputate a svolgere una funzione attiva di tesoreria.
Se invece tale surplus finanziario, in attesa di una buona opportunità di investimento industriale, fosse investito in titoli di Stato, obbligazioni, altre attività finanziarie (non inerenti il Gruppo), si ritiene che la società non rientrerebbe tra le holding industriali.
Altrettando significativo, in termine di qualificazione di una holding, è il caso, ipotizzato da Assonime, di una società finanziaria con un patrimonio attivo costituito per il 30% da partecipazioni in società finanziarie, per il 20% in partecipazioni industriali/commerciali e per il restante 50% in altre attività.
In modo condivisibile, Assonime (pag. 48 della circolare) afferma che ai fini qualificativi risulta opportuno indagare sulla composizione del 50% delle altre attività; solo se queste sono destinate al finanziamento di società del gruppo (partecipate, consorelle, controllante) la società verrà ricompresa tra le società assimilate alle holding industriali previste dalla lett. c) del primo comma dell’articolo 162-bis.
Sulla seconda questione, l’associazione evidenzia che un’interpretazione letterale della lett. c), n. 2, del primo comma dell’art. 162-bis del Tuir, potrebbe far sorgere il dubbio che il mero compimento, si aggiunge qui ancorché risultante alla data di chiusura dell’esercizio, di una operazione di finanziamento rientrante tra quelle previste nell’articolo 3 del Dm 53/2015 da parte di un soggetto industriale o commerciale possa automaticamente determinarne l’assimilazione ai soggetti che esercitano in via esclusiva o prevalente l’attività di assunzione di partecipazioni in soggetti diversi dagli intermediari finanziari.
L’Assonime sottolinea che un’interpretazione di questo tipo andrebbe oltre la ratio della norma, che dovrebbe essere quella di fare riferimento, quale elemento scriminante, ad attività che assumano una certa rilevanza e costanza; altrimenti qualsiasi impresa industriale o commerciale potrebbe incorrere nella disciplina delle holding industriali per il solo fatto di fare, ad esempio, sporadici finanziamenti all’interno del gruppo o ai dipendenti.
A sostegno, Assonime evidenzia che una tale interpretazione non sarebbe avvalorata neppure dall’articolo 3 del Dm 53/2015, poiché tale norma era dettata solo al fine di escludere dalla vigilanza della Banca d’Italia imprese svolgenti determinate attività di finanziamento non nei confronti del pubblico e, quindi, essa non richiedeva alcuna considerazione in merito all’esercizio in via esclusiva o prevalente delle attività stesse.
Il rinvio alle disposizioni contenute nel secondo comma dell’articolo 3 del Dm 53/2015 per individuare i soggetti assimilati alle holding industriali e commerciali dovrebbe quindi essere interpretato nel contesto delle indicazioni fornite dall’articolo 162-bis del Tuir per l’identificazione delle holding.
L’assimilazione dovrebbe operare, in altri termini, unicamente nel caso in cui le attività di finanziamento indicate nel secondo comma dell’articolo 3 del Dm 53/2015 fossero esercitate in maniera esclusiva o prevalente, o comunque in modo significativo, ovvero si aggiunge qui, continuativo. Assonime osserva comunque che il punto, per la sua delicatezza, dovrebbe essere chiarito dai competenti organi o, meglio ancora, attraverso una più puntale riformulazione della norma.