Il consumo di acqua minerale legittima la rettifica all’impresa di ristorazione
I ricavi di un’impresa di ristorazione possono essere ricostruiti sulla base del consumo di acqua minerale. È quanto ribadito dalla sentenza 25129/2016 della Cassazione . Non solo. La Corte ha rilevato come l’acqua minerale possa costituire un valido elemento per la ricostruzione presuntiva del volume d’affari per ciò che concerne il settore dei ristoranti e delle pizzerie senza richiedere ulteriori delucidazioni motivazionali.
La Ctr Lazio aveva rigettato l’appello dell’ufficio delle Entrate poiché, anche se riteneva sussistenti i presupposti per l’accertamento analitico-induttivo, affermava che l’ufficio avrebbe dovuto fornire ulteriore sostegno probatorio alle presunzioni. In altre parole, secondo i giudici di merito, è «strettamente plausibile» l’accertamento analitico che si fonda sul consumo di acqua minerale, tuttavia, le operazioni per il computo dei maggiori ricavi devono basarsi su presunzioni attendibili, e devono essere sorrette «da un valido apparato probatorio». Le presunzioni alla base dell’accertamento avrebbero dovuto quindi essere sorrette da ulteriori delucidazioni motivazionali.
Di diverso avviso la Cassazione. I giudici di legittimità richiamando un precedente orientamento giurisprudenziale (Cassazione 17408/2010; 5870/2012), hanno affermato che «nella prova per presunzioni, la relazione tra il fatto noto e quello ignoto non deve avere carattere di necessità, essendo sufficiente che l’esistenza del fatto da dimostrare derivi come conseguenza del fatto noto alla stregua di canoni di ragionevole probabilità. Pertanto, in tema di accertamento presuntivo del reddito d’impresa, ai sensi del Dpr 29 settembre 1973, n. 600, articolo 39, comma 1, lettera d), è stato ritenuto legittimo l’accertamento che abbia ricostruito i ricavi di un’impresa di ristorazione sulla base del consumo unitario dei tovaglioli utilizzati (si vedano, tra le altre, Cassazione 51/1999 in tema di materia prima per produrre prodotti di ristorazione, 6465 e 9884/2002, 15808/06 in tema di consumo di tovaglioli, e, in altro settore, consumo guanti monouso in odontoiatria)».
Il solo utilizzo di acqua minerale è quindi sufficiente a dimostrare il maggior reddito di un’impresa di ristorazione. In base alla richiamata pronuncia, il consumo di acqua minerale rappresenta infatti «un ingrediente fondamentale, se non addirittura indispensabile» per la ricostruzione delle consumazioni effettuate nel settore dei ristoranti come in quello delle pizzerie.
I giudici di legittimità aggiungono infine come la facoltà per l’amministrazione finanziaria di procedere ad accertamento induttivo non sussiste solo quando la dichiarazione del contribuente non risulti congrua con gli studi di settore, bensì anche quando gli accertamenti siano fondati sull’esistenza di gravi incongruenze tra ricavi, compensi, corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività. Da ciò consegue l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente.
A tal riguardo si ricorda che la Suprema corte ha affermato che l’onere della prova spetta al contribuente quando le risultanze della ricostruzione indiretta dei ricavi siano ragionevoli e verosimili in riferimento alle caratteristiche ed alle condizioni di esercizio dell’attività svolta (Cassazione 20060/2014 e 11622/2013). Per cui, è certamente legittima la ricostruzione induttiva dei ricavi dal consumo di acqua minerale o dall’impiego di tovaglioli, ma occorre tener conto anche di una determinata percentuale di acqua o tovaglioli utilizzati per altri scopi, quali i pasti dei soci, dei dipendenti e dei camerieri, le evenienze più diverse per le quali ciascun cliente possa essere indotto a richiedere più acqua. In base alla richiamata giurisprudenza, gli accertamenti basati sui fattori produttivi non possono ritenersi legittimi laddove il recupero a tassazione non sia stato preceduto da un attento vaglio della realtà imprenditoriale.
Cassazione, sentenza 25129/2016