Niente Iva sul corrispettivo ricevuto per funzioni di pubblico interesse
La risposta a interpello 22/2020: gli enti di diritto pubblico non hanno soggettività passiva
L’attività posta in essere da un soggetto in veste di “pubblica autorità”, nell’esercizio di un potere-dovere istituzionale e in assenza di qualunque ipotesi di potenziale distorsione di concorrenza, non configura soggettività passiva Iva e, comunque, la percezione di un contributo a fronte dell’espletamento di dette funzioni è escluso dal campo di applicazione dell’imposta (articolo 4, comma 5, Dpr 633/1972).
Il principio si ricava dall’orientamento espresso nella risposta ad interpello da parte dell’agenzia delle Entrate, n. 22 del 5 febbraio 2020. Questa impostazione è in linea con le indicazioni della prassi, ormai costante, in materia di oggettiva rilevanza delle erogazioni quando la relativa matrice non costituisca fattispecie da ricondurre alla condizione di prestazione avente carattere sinallagmatico.
Le interpretazioni si sono formate in base all’espressione dei principi contenuti nella direttiva comunitaria e nelle sentenze della Corte di giustizia europea partendo, comunque, dalla prioritaria verifica dei presupposti di rilevanza con particolare riferimento al presupposto soggettivo e oggettivo, oltre che quello territoriale.
L’articolo 13, paragrafo 1 della Direttiva 112/2006 prevede che gli enti di diritto pubblico non hanno soggettività passiva nel caso di svolgimento di attività e operazioni in veste di pubblica autorità a condizione che ciò non provochi distorsioni della concorrenza, non in assoluto, ma solo se di una certa importanza e la normativa nazionale ha sinteticamente recepito la disposizione nell’articolo 4, comma 5, del Dpr 633/1972. Quando ricorre questa condizione non occorre neppure verificare la sussistenza del requisito oggettivo che risulta assorbito in quanto, anche la presenza di erogazione a copertura di costi o come corrispettivo specifico, non assume carattere di rilevanza Iva.
Nel caso specifico del quesito la conclusione dell’agenzia delle Entrate è esattamente in questa linea ed è giustificata dalla circostanza che una Regione ha affidato, tramite apposita convenzione, a un istituto di diritto pubblico, lo svolgimento di un servizio che si sostanzia nell’attribuzione di funzioni pubbliche, aventi carattere autoritativo, nell’ambito di un procedimento amministrativo, in regime di monopolio senza alcun impatto, formale o sostanziale, con il mercato e quindi con ipotesi di distorsione della concorrenza perché attività svolte come funzione esclusiva sottratta all’operatività di qualsiasi altro soggetto. Laddove fosse mancata questa condizione specifica, strettamente legata alla veste pubblicistica, l’onerosità del rapporto avrebbe richiesto un’indagine più approfondita e, quindi, la verifica dei presupposti di carattere oggettivo per escludere la rilevanza Iva.
Sul punto l’interpretazione delle norme unionali (in particolare, articoli 2 e 73 Direttiva) da parte della Corte di Giustizia (sentenza 23 marzo 2006, Causa C-210/04), definisce in modo ampio l’ambito oggettivo di rilevanza di un’operazione agli effetti Iva. Si configura un’operazione imponibile in presenza di un rapporto giuridico nell’ambito del quale il compenso ricevuto dal prestatore costituisce il controvalore effettivo del servizio prestato all’utente. Quindi il presupposto oggettivo di applicazione dell’Iva può essere escluso solo qualora non si ravvisi alcuna correlazione tra l’attività finanziata e le elargizioni di denaro. In tal senso la circolare 34/E/2013, che evidenzia criteri generali e sussidiari di qualificazione della natura delle erogazioni.