Contabilità

Inerenza del costo: il ritorno commerciale può essere anche indiretto

L’investimento va valutato nel suo aspetto qualitativo senza rapportare al bilancio

di Giorgio Gavelli

Nelle ordinanze pronunciate in tema di sponsorizzazioni sportive dalla Cassazione si rafforza il concetto che l’inerenza – anche in riferimento a questa particolare tipologia di spesa – non può essere valutata né rapportando l’importo ad altre grandezze di bilancio (tanto meno al risultato di esercizio), né ad una misurazione del “ritorno commerciale” dell’investimento effettuato (ordinanza 6368/2021).

La natura qualitativa

Nell’ordinanza 21452/2021 (citata anche nell’articolo a lato) si legge infatti che «il legislatore ha stabilito una presunzione assoluta di deducibilità del costo, rendendo non sindacabile la scelta dell’imprenditore di promuovere il nome, il marchio o l’immagine attraverso iniziative pubblicitarie nel settore sportivo dilettantistico. Non si può, quindi, negare lo scomputo dei costi di sponsorizzazione sulla base di una asserita assenza di una diretta aspettativa di ritorno commerciale, atteso che una tale soluzione non si porrebbe neppure in linea con la stessa nozione di inerenza, come delineatasi nel tempo, che è di natura qualitativa e non quantitativa» (pronunce n. 27786/2018; 18904/2018 e 6017/2020).
La Corte prosegue poi spiegando che: «Neppure, secondo la dottrina, è consentita la contestazione della incongruità o dell’antieconomicità del costo, dal momento che nel campo delle sponsorizzazioni è improponibile, se non impossibile, individuare l’ammontare “congruo” di una sponsorizzazione, poiché queste spese, di solito, sono sostenute nella prospettiva di aumentare i ricavi, senza la ben che minima garanzia che tale obiettivo possa essere davvero conseguito».

Le tecniche pubblicitarie

Sono frasi che piaceranno ai difensori nei giudizi tributari, come quelle secondo cui la nozione di inerenza spesso affermata dall’agenzia delle Entrate «non tiene conto dell’evoluzione delle tecniche pubblicitarie che porta ad escludere che, nell’attuale mercato “globalizzato”, ai fini della sussistenza del requisito dell’inerenza delle spese di pubblicità, debba sussistere un legame territoriale tra l’offerta pubblicitaria e l’area geografica in cui l’impresa svolge la propria attività» (vedi anche pronuncia n. 3770/2015), «né una relazione tra il concetto di spesa e quello di impresa, assumendo rilevanza il costo non tanto per la sua esplicita diretta connessione ad una precisa componente di reddito, bensì in virtù di una correlazione con un’attività potenzialmente idonea alla produzione di utili».

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©