Controlli e liti

Inesistenza oggettiva delle fatture anche sulla base di elementi indiziari

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di Alessandro Borgoglio

L’Amministrazione finanziaria può validamente contestare l’inesistenza oggettiva delle operazioni fatturate da una società sulla base di elementi indiziari, quali la mancanza di una struttura organizzativa, di dipendenti e di beni strumentali. Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza 30351/2019 (clicca qui per consultarla).

La fattura, di regola, è documento idoneo a rappresentare un costo d’impresa, e costituisce titolo per il contribuente ai fini del diritto alla detrazione dell’Iva e alla deducibilità dei costi, sicché, nell’ipotesi di fatture che l’Amministrazione finanziaria ritenga relative a operazioni inesistenti, non spetta al contribuente provare che l’operazione è effettiva, ma spetta all’Ufficio, che adduce la falsità del documento, dimostrare che l’operazione commerciale, oggetto della fattura, in realtà non è mai stata posta in essere (Cassazione 23065/2015, Cassazione penale 46857/2015).

Per soddisfare il suo onere probatorio il Fisco non è tenuto a fornire una prova certa, potendosi basare anche su presunzioni semplici ex articolo 39, comma 1, lettera d), del Dpr 600/1973 e articolo 54, comma 2, del Dpr 633/1972 (ex pluris, Cassazione 17619/2018).
Una volta assolta da parte dell’Amministrazione finanziaria la prova (ad esempio, mediante la dimostrazione che l’emittente è una “cartiera” o una società “fantasma”) dell’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’Iva e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, senza che, tuttavia, tale onere possa ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, che vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (ex pluris, Cassazione 6865/2019).

Nel caso oggetto della sentenza qui commentata, l’Ufficio aveva fornito una serie di elementi indiziari volti a dimostrare che la società accertata era invero una “cartiera”, elementi che sono riassumibili nell’assenza di una struttura organizzativa adeguata, nella mancanza di dipendenti e di beni strumentali e nel mancato assolvimento degli oneri fiscali.

La Cassazione ha stabilito che, a fronte di tali elementi, che costituiscono presunzioni semplici, ma gravi, precise e concordanti, e in difetto di prova contraria del contribuente, legittimamente i giudici regionali avevano ritenuto che le fatture contestate si riferissero a operazioni oggettivamente inesistenti e, quindi, non solo che le opere e i servizi indicati nelle fatture oggetto di contestazione non fossero state poste in essere, ma che non fossero state poste in essere da alcuno: infatti, la mancata individuazione di un soggetto terzo cui ricondurre l’esecuzione delle prestazioni fa escludere che si verta in ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti.

Sulla stessa scia si pone la decisione con cui qualche mese fa i giudici di legittimità avevano dato ragione all’Ufficio, che aveva dimostrato l’oggettiva inesistenza delle cessioni sulla base del fatto che il curatore fallimentare aveva dichiarato di non aver rinvenuto merce riferibile alla società fallita (cfr. Cassazione 7235/2019).

Sono, inoltre, elementi presuntivi rilevanti, ai fini della contestazione dell’inesistenza oggettiva delle operazioni, lo stato di abbandono in cui versa l’edificio produttivo della società, la mancanza di sedi operative alternative e la sottrazione al controllo delle scritture contabili (cfr. Cassazione 16201/2018).

Per approfondire

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Cassazione, sentenza 30351/2019

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