Interessi economici e relazioni personali «dettano» la residenza fiscale
L’iscrizione del cittadino nell’anagrafe dei residenti all’estero non è elemento determinante per escludere la residenza fiscale in Italia, allorché il soggetto abbia nel territorio dello Stato il proprio domicilio, inteso come sede principale degli affari e interessi economici, nonché delle proprie relazioni personali. È quanto affermato dalla Suprema Corte con la sentenza n. 12311 del 15 giugno 2016.
Il contenzioso nasce dall’impugnazione di avvisi di accertamento, per gli anni d’imposta dal 1997 al 2000, con i quali l’ufficio recupera le imposte dovute dal contribuente persona fisica residente in Italia benché egli si fosse cancellato dall’anagrafe della popolazione residente e fosse emigrato dal 2 settembre 1987 a Montecarlo nel principato di Monaco, rientrante nel novero dei Paesi a fiscalità privilegiata. Mentre la Ctp accoglie i ricorsi riuniti, per la Ctr l’ufficio con riguardo ai periodi d’imposta antecedenti all’entrate in vigore della presunzione di cui al comma 2bis dell’articolo 2 del Tuir, non ha adeguatamente dimostrato, come suo onere, la sussistenza di uno dei criteri territoriali alternativamente previsti dal secondo comma del medesimo art. 2 del Tuir.
Impugna in Cassazione l’Agenzia, cui replica con controricorso e ricorso incidentale il contribuente.
A vaglio di legittimità, essenzialmente la corretta interpretazione dell’articolo 2, comma 2, del Tuir, il quale individua, perché sussista la residenza fiscale nello Stato, tre presupposti, indicati in via del tutto alternativa: il primo, formale, rappresentato dall’iscrizione nelle anagrafi delle popolazioni residenti, gli altri due, di fatto, costituiti dalla residenza o dal domicilio nello stato ai sensi del codice civile. Confermato, dunque, l’orientamento di legittimità per cui la residenza fiscale in Italia di una persona fisica sussiste qualora questi abbia in Italia la sede principale degli affari e interessi economici, nonché delle proprie relazioni personali, nonostante sia iscritto nell’anagrafe dei residenti all’estero (Cass. n. 13803/01; 29576/11; 678/15). Ai fini della determinazione del luogo della residenza normale, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia (sentenza 12 luglio 2001 causa C-262/99), devono essere presi in considerazione sia i legami professionali e personali dell’interessato in luogo determinato, sia la loro durata, e, qualora tali legami non siano concentrati in un solo Stato membro, l’articolo 7 della direttiva 83/182/Cee riconosce la preminenza dei legami personali sui legami professionali. Nell’ambito della valutazione dei legami personali e professionali dell’interessato, tutti gli elementi di fatto rilevanti devono essere presi in considerazione, vale a dire, in particolare, la presenza fisica di quest’ultimo nonché quella dei suoi familiari, la disponibilità di un’abitazione, il luogo di esercizio delle attività professionali e quello in cui vi siano interessi patrimoniali. In detto contesto, la decisione di Ctr impugnata, si manifesta gravemente insufficiente, in quanto il giudice d’appello non ha valutato gli elementi addotti dall’ufficio, tra cui l’apertura da parte del contribuente di numerosi conti correnti in Italia, le numerosissime tracce di frequenti soggiorni in Italia enumerate in ricorso, la circostanza che i numerosi contratti di sponsorizzazione prevedano come foro competente in caso di controversie quello italiano, l’avvenuta stipula da parte del contribuente di polizze assicurative in Italia, la circostanza del recapito della corrispondenza all’indirizzo in Italia.
La sentenza n.12311/16 della Cassazione