Imposte

Iva: panieri, esclusioni, «nero» 130 miliardi fra criticità e riforme

di Marco Mobili

La parola d’ordine del Governo gialloverde è «l’Iva non aumenterà». Una promessa al centro della mozione di maggioranza sul Def 2019 che le Camere voteranno nelle prossime ore. Sentiremo ripetere questo ritornello fino al prossimo autunno, quando la legge di Bilancio entrerà nella fase calda: qui, stando agli impegni, l’Esecutivo proverà a sterilizzare le nuove (e più salate) clausole di salvaguardia inserite nell’ultima manovra. In questo modo verrebbero evitati gli aumenti delle aliquote, già previsti a legislazione vigente: 23,1 miliardi per il 2020 e 28,7 miliardi dal 2021. Cosa realmente farà il Governo è difficile a dirsi. Quel che è certo è che parlare di Iva significa parlare della seconda imposta quanto a gettito: oltre 130 miliardi di euro nell’ultimo anno.

Evasione da record

L’Iva è anche l’imposta più evase con un “tax gap” (la differenza tra quanto dovuto e quanto realmente versato nelle casse dell’Erario) di ben 35 miliardi. Una perdita enorme (si stima un tasso di evasione tra il 26-27%) e che ha la particolarità di generare anche gran parte dell’evasione delle imposte sui redditi.

Esenzioni sempre più larghe

Tra le criticità dell’Iva vanno segnalati anche i tanti regimi speciali, le esenzioni e le esclusioni. Il più recente paradosso è nell’ultima manovra: da una parte si prevede l’aumento dell’Iva, dall’altro si esonerano completamente dall’imposta oltre 2 milioni di partite Iva con la “flat tax” al 15% per chi ha ricavi o compensi fino a 65mila euro nel 2019 e fino a 100mila euro nel 2020.

Un’imposta europea

L’Imposta sul valore aggiunto è uno dei pochi tributi armonizzati a livello europeo e infatti l’Iva segue le stesse regole in tutti i Paesi Ue. A variare sono le aliquote visto che le regole comunitarie consentono ai singoli Stati di fissare liberamente i livelli, restando entro certi limiti.

L’aliquota ordinaria non può essere inferiore al 15%. Nella Ue il prelievo più alto è in Ungheria con il 27%, seguono Croazia, Danimarca e Svezia con aliquota al 25%. L’Italia oggi è al 22%, ossia mezzo punto in più rispetto al prelievo medio sul valore aggiunto applicato nella Ue. L’aliquota più bassa è in Lussemburgo al 17% seguita da Malta al 18% e dal terzetto Germania, Romania e Cipro al 19 per cento. La stessa Ue è consapevole che l’Iva ha bisogno di una revisione complessiva. Ha lanciato un «Vat action plan», ossia un progetto di riforma per rendere il sistema più semplice e armonizzato, contrastare le frodi, tassare economia digitale e commercio elettronico. Tra le proposte quella di rivedere le aliquote con la possibilità anche di ridefinire due aliquote ridotte non inferiori al 5%, una “minima” tra 0 e 5% e un trattamento di esenzione dall’Iva. Se ne riparlerà dopo le elezioni Ue.

I panieri e il sistema a 4 aliquote

L’attuale sistema di aliquote e panieri Iva italiano è comunque un misto tra prelievi spesso non più in linea con i consumi delle famiglie o agevolazioni e sconti più o meno generosi. Anche alla luce della nuova spinta comunitaria, potrebbe non essere del tutto sbagliato provare a razionalizzare il sistema. Le aliquote in Italia sono quattro: una minima del 4% rimasta in vigore dal 1993 e applicata a beni come farina, pane, latte, frutta ecc. e che garantisce oggi un gettito di circa 4 miliardi l’anno. Ogni punto in più di questa aliquota “costerebbe” ai consumatori circa un miliardo di euro. Ci sono poi due aliquote ridotte del 5 e del 10%. La prima si applica soprattutto a servizi di assistenza medica. Quella del 10% si concentra su settori ad “alta densità” come la ristorazione e l’edilizia. In questo ogni punto di aumento peserà su consumi e servizi per poco meno di 3 miliardi. Quella ordinaria del 22% è applicata a tutti i beni e servizi esclusi dagli altri tre panieri. Ma anche in questo la confusione non manca. Se si consuma una Coca Cola al bar l’aliquota è del 10% ma se la si acquista in negozio scatta il 22%. A guardare nel dettaglio i vari panieri poi si scopre che una tra le bevande più amate dagli italiani come il caffè sconta un’Iva ordinaria al 22% mentre orzo, thè o camomilla sono al 10%. Forse più che ragionare su un aumento secco delle aliquote – previsto a legislazione vigente dal 2020 – si potrebbe anche puntare a una manovra organica e ordinata. Con un’avvertenza: più alte sono le aliquote, più alta diventa la propensione a evadere.

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