Adempimenti

L’inserimento in RW limita i rischi

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di Marco Piazza

Una volta creata l’assimilazione delle valute virtuali alle valute estere, l’Agenzia con la risposta all’interpello 956-39/2018 (richiamato nell’articolo in alto) assimila il borsellino elettronico ad un deposito, anche se non bancario, perché il fornitore dei servizi funzionali alla conservazione delle valute virtuali (il wallet provider) non è una banca.

In questo modo trova ingresso la tassazione delle plusvalenze derivante dalla cessione a pronti (con scambio immediato di una valuta contro una valuta differente) di valute virtuali nell’ambito dell’articolo 67, comma 1, lettera c-ter del Testo unico il quale considera imponibili le plusvalenze derivanti dalla cessione di valute estere, non solo se cedute a termine, ma anche quando siano «rivenienti da depositi o conti correnti» per i quali la giacenza media superi un controvalore di 51.645,69 euro per almeno sette giorni lavorativi continui nel periodo d’imposta, qualora la valuta ceduta derivi da prelievi da portafogli elettronici (wallet).

I portafogli elettronici però non sono depositi così come i wallet provider non sono depositari, ne custodi di valute virtuali. Il contratto di deposito presuppone la consegna materiale di una cosa mobile (trattandosi di un contratto reale la dottrina ritiene che non possa avere per oggetto beni immateriali) con l’obbligo da parte del depositario di custodirla e di riconsegnarla. Il wallet provider, invece, si limita a fornire uno strumento (un software o un supporto elettronico) idoneo a consentire all’utente di conservare e trasferire la propria valuta virtuale, a volte fornendo un servizio di rendicontazione, ma non non riceve la valuta in consegna, né assume alcuna responsabilità riguardo alla sua custodia. È difficile sostenere che la valuta ceduta sia riveniente da un deposito.

Un diverso discorso va fatto per i contratti differenziali con sottostante valute virtuali. Questi contratti generano redditi diversi di natura finanziaria tassabili ex articolo 67, comma 1, lettera c-quarter, del Testo unico. Devono essere indicati nel quadro RW se sono suscettibili di produrre redditi di fonte estera imponibili in Italia. Per stabilire se il reddito da essi generato è di fonte estera si possono utilizzare i criteri individuate dalla circolare 207/E/1999. Il criterio territoriale si desume dal luogo diresidenza fiscale del soggetto nei confronti del quale è esercitabile il diritto contrattuale. Tale luogo coincide con il domicilio fiscale del soggetto che corrisponde il reddito se il contratto non è negoziato nei mercati regolamentati. Per i contratti negoziati in mercati regolamentati, invece, il luogo di esecuzione della prestazione contrattuale si ritiene che si possa identificare con quello in cui si trova la Cassa di compensazione e garanzia.

Per motivi pratici, è meglio che i detentori di valute virtuali le indichino nell’RW. Infatti, in base all’articolo 1, comma 1 del Dl 167/1990, accade che gli intermediari e i prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale (ossia di servizi funzionali all’utilizzo, allo scambio, alla conservazione di valuta virtuale e alla loro conversione da o in valute con corso legale), che intervengono nei trasferimenti da o verso l’estero di mezzi di pagamento, nell’ambito dell’attività di conversione di valute virtuali in valute aventi corso forzoso e viceversa trasmettono alle Entrate i dati acquisti nell’ambito degli adempimenti antiriciclaggio. Anche le banche provvederanno al monitoraggio dei bonifici da e verso l’estero se il contribuente si avvale di provider non residenti.

La mancata compilazione del quadro RW potrà quindi far emergere un’anomalia con conseguenti approfondimenti dell’Agenzia.

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