Diritto

L’interdittiva antimafia che lede il sostentamento deve poter essere sospesa

di Giovanbattista Tona

La Corte costituzionale sollecita il legislatore a rivedere la procedura per l’applicazione della informazione interdittiva antimafia e ad introdurre previsioni a tutela alle esigenze di sostentamento dei soggetti che perdono opportunità di lavoro a causa delle inibizioni derivanti dal provvedimento prefettizio. Questo emerge dalla sentenza 180 depositata il 19 luglio scorso, che, pur dichiarando inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 92 del Codice antimafia – sollevate dal Tar Calabria per contrasto con gli articoli 3, 4 e 24 della Costituzione – ha voluto comunque sottolineare la sussistenza di una lacuna legislativa.
I giudici amministrativi calabresi avevano evidenziato che il Codice antimafia (decreto legislativo 159/2011) stabilisce divieti e decadenze che precludono la possibilità di ottenere o mantenere erogazioni pubbliche, contratti pubblici, provvedimenti amministrativi funzionali all’esercizio di imprese, nell’ipotesi di applicazione di una misura di prevenzione personale, ma anche nell’ipotesi in cui venga adottata una informazione antimafia.
Mentre per la misura di prevenzione, applicata dal tribunale dopo avere riconosciuto la pericolosità del soggetto, è previsto che il giudice intervenga per escludere alcuni effetti interdittivi in presenza di accertato stato di bisogno dell’interessato, nel caso di provvedimento del prefetto conseguente alla sola constatazione di tentativi di infiltrazione mafiosa, non è possibile procedere in maniera analoga.
Poiché dall’informazione antimafia possono derivare gli stessi pregiudizi all’imprenditore che ne sia colpito e che non abbia altra fonte di reddito, la mancata previsione della possibilità di far valutare al prefetto il suo stato di bisogno per temperare gli effetti interdittivi del suo provvedimento costituirebbe una inammissibile disparità di trattamento, con lesione del diritto al lavoro e del diritto di difesa.
La Consulta riconosce l’esistenza di una ingiustificata disparità di trattamento, che necessita di un rimedio. Tuttavia evidenzia che una sua decisione di accoglimento della questione avrebbe un eccessivo tasso di manipolatività, comporterebbe l’innesto di un istituto inedito nel codice antimafia e attribuirebbe all’autorità prefettizia, nell’ambito del procedimento che conduce al rilascio dell’informativa antimafia, un potere valutativo che il Codice affida all’autorità giudiziaria.
La Corte costituzionale non potrebbe poi stabilire su quali soggetti possa essere formulata una valutazione dello stato di bisogno, se i soli imprenditori persone fisiche o anche le società e gli enti. E dovrebbe stabilire se, in presenza di stato di bisogno, gli effetti dell’interdittiva debbano essere esclusi in blocco o solo in parte, e in tal caso di individuare quelli che non possono essere sospesi.
In definitiva la questione del pur accertato vulnus al principio di uguaglianza non può che essere rimessa ad una scelta discrezionale del legislatore.
La Corte, tuttavia, ricorda che tale omessa previsione era stata oggetto di un suo precedente pronunciamento (sentenza 57 del 2020) e avvisa il legislatore che il protrarsi della sua inerzia la potrebbe indurre a provvedere direttamente, nonostante le difficoltà descritte.

La disparità delle regole sulla sospensione
Misure di prevenzione
Le decadenze e i divieti che impediscono l’esercizio di un’attività di impresa, causati dall’applicazione di misura di prevenzione personale, possono essere esclusi dal giudice nel caso in cui per effetto degli stessi verrebbero a mancare i mezzi di sostentamento all'interessato e alla famiglia
(articolo 67 codice antimafia)
Interdittiva
L’informazione interdittiva rilasciata dal prefetto per prevenire le infiltrazioni mafiose, comporta gli stessi divieti e decadenze delle misure di prevenzione personale. Il procedimento non prevede però la possibilità di escludere in tutto o in parte tali effetti in caso di stato di bisogno dell’interessato.
(articolo 91 del Codice antimafia
)

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