L’opzione put non è patto «leonino»
L’opzione put non realizza un patto leonino contrario al precetto inderogabile di cui all’articolo 2265 del Codice civile, per il quale è vietata la clausola dei patti sociali in base alla quale un socio venga del tutto escluso dalla partecipazione agli utili o alle perdite della società; e ciò in quanto si verte in una ipotesi di patto leonino solo nei casi in cui l’esclusione di un socio dalle perdite o dagli utili sia assoluta e costante e non risponda a interessi meritevoli di tutela. Il lodo irrituale non è impugnabile per errori di giudizio, come, invece, è consentito dall’ultimo comma dell’articolo 829 del Codice di procedura civile per l’arbitrato rituale.
È quanto deciso dal Tribunale di Milano, con la sentenza n. 9301/2015 del 6 agosto 2015 , in sede di opposizione a un decreto ingiuntivo emesso a seguito di un lodo arbitrale irrituale a sua volta pronunciato in una controversia attinente il risarcimento del danno dovuto per inadempimento degli obblighi di un soggetto oblato dall’esercizio di una opzione put.
L’opzione put è il contratto con il quale due soggetti si accordano nel senso che a uno di essi spetta di pretendere dall’altro l’acquisto di un dato bene (di solito si tratta di azioni o quote di società) per un dato prezzo: ad esempio, Tizio e Caio convengono che, in una data finestra temporale, Tizio potrà pretendere che Caio acquisti, per un dato prezzo, mille azioni di proprietà di Tizio nella Alfa Spa.
Secondo il Tribunale di Milano, non si può fondatamente sostenere che, nella fattispecie considerata, l’opzione put potesse realizzare un patto leonino contrario al principio inderogabile di cui all’articolo 2265 del Codice civile: infatti, si verte in ipotesi di patto leonino solo nei casi in cui l’esclusione di un socio dalle perdite o dagli utili sia assoluta e costante e non risponda a interessi meritevoli di tutela.
Quanto agli aspetti di meritevolezza, il Tribunale rileva che l’opzione put oggetto del giudizio rientrava in una complessa operazione finalizzata a consentire l’integrazione societaria e industriale tra due società, al fine di un auspicato rafforzamento della loro dimensione patrimoniale, finalizzato alla dotazione di risorse patrimoniali, finanziarie e di know-how necessarie a incrementare la quota di mercato domestico e per competere efficacemente sul mercato internazionale. Inoltre, con riguardo all’assenza del carattere assoluto e costante dell’esclusione dalle perdite, il Tribunale rileva che l’opzione aveva una durata limitata nel tempo, poiché era esercitabile in una ristretta finestra temporale, sicché non era ipotizzabile che con essa si realizzasse una permanente sottrazione dalla partecipazione a eventuali perdite del socio titolare della put.
Quanto all’impugnazione del lodo irrituale, il Tribunale rammenta che l’errore rilevante per la pronuncia di invalidità del lodo irrituale deve riguardare la percezione, da parte degli arbitri, degli elementi e dei dati di fatto sottoposti al loro esame dai soggetti che stipularono il compromesso e non, invece, le loro determinazioni, posto che costoro non esprimono una propria volontà negoziale, ma danno contenuto a quella delle parti.
Da ciò deriva che «non assume rilievo la deviazione inerente alla valutazione di una realtà i cui elementi siano stati da essi esattamente percepiti cioè il cosiddetto errore di valutazione o di giudizio, attinente al convincimento reso dagli arbitri in esito alla valutazione degli elementi acquisiti, ovvero gli errori di diritto concernenti la stessa disciplina applicabile al caso concreto per la risoluzione della controversia. Per cui, il lodo irrituale non è impugnabile per errores in iudicando, come è invece consentito dall’ultimo comma dell’articolo 829 del Codice di procedura civile per l’arbitrato rituale, neppure ove consistano in una erronea interpretazione dello stesso contratto stipulato dalle parti che ha dato origine al loro mandato; e non è più in generale annullabile per erronea applicazione delle norme di ermeneutica contrattuale, né a maggior ragione per un apprezzamento delle risultanze negoziali diverso da quello ritenuto dagli arbitri e, comunque, non conforme alle aspettative della parte impugnante.