Imposte

L’ultimatum Ue all’Italia: due mesi per la nuova Iva

Caso alla Corte di giustizia senza recepimento della direttiva 2018/1910

di Anna Abagnale e Benedetto Santacroce

Il ritardo del legislatore nel recepimento della direttiva Ue 2018/1910 sta generando preoccupazioni. In sostanza, il mancato (o ritardato) recepimento delle «quick fixes» può generare effetti tali da creare fenomeni di doppia imposizione (o nessuna imposizione), che la riforma normativa intende, appunto, eliminare. Sicché la Commissione Ue non è rimasta ferma ad aspettare che l’Italia recepisse con comodo le nuove regole, ma sta andando avanti nel procedimento d’infrazione 2020/0070 contro il nostro ordinamento. Proprio ieri è arrivato da Bruxelles un parere motivato (secondo passo della procedura d’infrazione) con il quale si avverte che, se l’ordinamento nazionale non si attiva entro i prossimi 2 mesi, la Commissione potrà decidere di deferire il caso alla Corte di giustizia.

In realtà, l’iter di recepimento, che, secondo quando disposto dalla direttiva, avrebbe dovuto concludersi entro il 31 dicembre 2019, sembrerebbe essere definitivamente al capolinea. Qualche giorno fa sono stati resi pubblici ulteriori pareri di Camera e Senato sullo schema di decreto legislativo recante l’attuazione della direttiva su cui si discute già da alcuni mesi.

Riassumendo brevemente i temi della riforma, è ormai noto che la norma nazionale deve adeguarsi a quella unionale in riferimento al ruolo del numero di identificazione Iva nell’ambito della non imponibilità delle cessioni intraUe, al regime di call off stock e alle operazioni a catena. Il ritardo del legislatore nel fornire regole conformi sul piano europeo probabilmente non si esaurirà con l’entrata in vigore del menzionato decreto legge. Alcune novità avranno poi bisogno di essere ulteriormente specificate sul piano amministrativo: si pensi, in particolare al call off stock.

La normativa europea non prevede alcuna regola riguardo alla questione dei metodi contabili (Lifo o Fifo) da utilizzare per determinare il periodo di 12 mesi in relazione alle merci “alla rinfusa”. Spetterebbe dunque al legislatore, ovvero all’amministrazione fiscale, chiarire come procedere in tale senso, preferibilmente adeguandosi a quanto disposto dalla Commissione europea che, nelle note esplicative, sceglie il metodo Fifo. Un’altra precisazione da farsi sul piano degli adempimenti riguarda la tenuta dei registri di call off stock. La normativa Ue non stabilisce il formato, ma la Commissione suggerisce flessibilità per gli Stati membri, consigliando di escludere la tenuta di registri cartacei separati, preferendo invece quelli elettronici. Anche in riferimento a questi ultimi sarebbe opportuna una certa elasticità, in quanto ciò che conta è che i verificatori possano recuperare facilmente i dati utili dal sistema elettronico. Infine, considerato l’obbligo di riportare negli elenchi riepilogativi la movimentazione di beni in regime di call off stock, è richiesto un adeguamento anche delle disposizioni sugli Intrastat.

In definitiva, l’intervento normativo è essenziale ma non esaustivo in quanto sarà necessario che il quadro si completi degli i ulteriori provvedimenti amministrativi.

Intanto la Commissione Ue ha aperto una procedura d’infrazione contro l’Italia (lettera di messa in mora) per mancato rispetto delle norme dell’Ue sulla libera circolazione dei lavoratori, perché «continua a discriminare i docenti stranieri (lettori)» nelle università italiane, in quanto non hanno gli stessi diritti retributivi degli altri colleghi.

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