La Cassazione insegue il «miraggio» del riporto facoltativo delle perdite
Il riporto delle perdite fiscali è una opzione facoltativa per il contribuente, nel senso che egli può liberamente scegliere l’ammontare di perdite da utilizzare in un qualunque periodo d’imposta successivo alla loro formazione? La sentenza a Sezioni unite della Corte di cassazione 8500/2021, che tanto ha fatto parlare di sé per i termini di conservazione dei documenti ai fini dell’accertamento (si veda Il Sole-24 Ore del 12 aprile), contiene un inciso anche su questo tema. Ed è proprio questo inciso che stupisce.
Per le Sezioni unite, il riporto a nuovo delle perdite è «una opzione di tipo volontaristico e negoziale del contribuente». Per cui, se nel 2020 l’impresa ha subito 1.000 di perdite fiscali e nel 2021 realizza un imponibile di 100, potrebbe benissimo scegliere di versare le imposte su 100 e conservare i 1.000 di perdite per il futuro. Questa convinzione della Cassazione (oramai radicata: pronunce 16977/2019, 8195/2019, 5105/2019 e 25566/2017 solo per citare le più recenti) è diametralmente opposta a quanto si legge in qualunque commentario al Testo unico e al comportamento universalmente applicato dai contribuenti e dal Fisco in sede di verifica.
Tutti convinti che, in realtà, non vi è alcuna facoltà, ma un preciso obbligo di utilizzo, per l’intero importo che trova capienza nella quota di imponibile compensabile secondo le regole degli articoli 8 e 84 del Tuir (circolari 8/E/2019 e 188/1998, risoluzioni 87/E/2013 e 10/1429/1976). Del resto, che si tratti di un obbligo lo si ricava anche dalla disciplina dell’utilizzo perdite in sede di accertamento (provvedimento 12 ottobre 2016 e circolare 15/E/2017). Peraltro, il comma 3 dell’articolo 8, che disciplina l’utilizzo delle perdite per i soggetti Irpef, prevede espressamente che l’utilizzo delle perdite riportabili avviene “per l’intero importo che trova capienza” nei redditi conseguiti nei successivi periodi d’imposta, nei limiti dell’80% di questi. E appare difficile ipotizzare per le società di capitali una regola differente, visto che l’intervento normativo della legge di Bilancio 2019 aveva l’obiettivo di unificare la disciplina sulle perdite.
Il “miraggio” dell’utilizzo facoltativo nasce, presumibilmente, dal testo del comma 1 dell’articolo 84 del Tuir (la perdita … può essere computata …) ma nessuno (tranne, appunto, la Cassazione) ha mai dubitato che la quota di perdite scomputabile in un certo anno e non utilizzata fosse bruciata per il futuro, salvo interventi correttivi sulla dichiarazione di quell’anno. Il problema dell’orientamento più volte confermato dalla Corte riguarda proprio le correzioni. Se una società, per mero errore, dimentica di indicare nel modello dichiarativo le perdite compensabili, e non interviene una correzione nei 90 giorni successivi al termine di presentazione, per la Cassazione il contribuente ha operato “una scelta”, che, come tale, non ha più rimedi (sentenza 5105/2019). Egli avrebbe “scelto” per un riporto della perdita, che mai nessun ufficio accetterà in utilizzo nei periodi d’imposta successivi, creando contenzioso a non finire. Morale: se c’è una norma che necessita di un intervento interpretativo del legislatore, per evitare ulteriori fraintendimenti, è proprio l’articolo 84, comma 1, Tuir.