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Collaborazione tra fisco e contribuente: la fonte è la certezza del diritto

L’aumento dell’efficienza della struttura dei tributi e la riduzione del carico fiscale non sono necessariamente sono inscindibili ma questa unione va preservata

di Enrico De Mita

Una delle esigenze più avvertite dal governo proponente e dal legislatore futuro delegante fiscale è quella di dare certezza al rapporto tributario.

L’aumento dell’efficienza della struttura dei tributi e la riduzione del carico fiscale non necessariamente sono inscindibili.

È, però, coerente con lo spessore di una riforma fondamentale per il nostro ordinamento che questa unione venga preservata. Per quanto risulta evidente che l’aumento dell’efficienza può trovare immediata attuazione.

Tra i principi generali del diritto tributario nazionale il Ddl di delega della riforma fiscale pone come criteri direttivi il ricorso alle tecnologie digitali, il rafforzamento del regime di adempimento collaborativo o l’aggiornamento e l’introduzione di istituti, anche premiali, volti a favorire forme di collaborazione tra l’amministrazione finanziaria e i contribuenti.

Sembra necessario – di fronte ad un simile piano inclinato – richiamare l’attenzione a non confondere causa ed effetto: la collaborazione è l’effetto, non la causa di una auspicata certezza del diritto tributario.

Il richiamo al principio di legalità (articolo 23 della Costituzione) si traduce, in concreto, nella difesa e nell’ancoraggio della riforma a quanto rimane della riserva di legge espressa dal citato principio costituzionale.

In altre parole, quello che sembrerebbe, nella sua posizione di principio, un allontanamento da una modalità di determinazione autoritativa dell’imponibile, rischia di tradursi, senza adeguato ancoraggio costituzionale e statutario, nella programmazione delle condotte del contribuente arretrata nell’amministrativizzazione del modello di accertamento volto ad incentivare l’adempimento spontaneo.

La locuzione «adempimento spontaneo» non deve significare variazione nominalistica per «arretramento delle garanzie del contribuente» rispetto alla dottrina del fisco.

Il primo passaggio consiste nell’uscire da un equivoco di fondo che sembre informare – oggi – molto delle discussioni su coregolazione, cosiddetta «compliance», dovere del contraddittorio (improvvisamente sostituto del «diritto al contraddittorio»), concordato biennale, affidabilità economica e stabilizzazione dell’imponibile dichiarato.

La certezza del diritto tributario non è nelle mani né dell’amministrazione finanziaria né del contribuente né della loro presumibile volontà di collaborazione che, in prima battuta, assomiglia più ad un invito a sottrarsi anticipatamente, con un grado di cogenza fattuale evidente, a peggiori vicende accertative o sanzionatorie.

La certezza del diritto tributario nasce dalla legge.

Prescinderne significa assottigliare ulteriormente la residua sopravvivenza della riserva di legge di cui all’articolo 23 della Costituzione.

Non è decisivo passare dall’interpello – istituto che oggettivamente non funziona – all’interlocuzione.

Decisivo è normare il rapporto obbligatorio tributario nelle sue fasi genetiche, funzionali e sanzionatorie, sfruttando la riforma come momento epocale per creare i presupposti di tale collaborazione contribuente/fisco.

La collaborazione, in breve, non è l’affermazione di un neostoicismo tributario, quasi che il «volente» viene guidato da una fatale adesione alla discrezionalità amministrativa e il «nolente» invece verrà necessariamente travolto da un accertamento punitivo, residuale e sussisidario.

L’ottica è esattamente opposta: la riforma sarà così in grado di creare istituti chiari e saldi da rendere naturale e normale la partecipazione alla funzione impositiva di contribuente e amministrazione finanziaria.

La coregolazione amministrativa, il regime di adempimento collaborativo, il concordato biennale non possono coagulare ora l’attenzione principale.

La complessità vera della riforma risiede in ben altro: creare un nuovo sistema tributario o, meglio, un sistema tributario affrancato dalla dottrina del fisco, dalla punitività delle aliquote e liberato dall’illecito dell’evasione.

Leggiamo un pericolo involutivo nella scrittura di nuovi strumenti di cogenza normativa dinanzi alla discrezionalità amministrativa.

Il terreno del confronto di questa nuova “amicizia” tra fisco e contribuente non è quello apparentemente libero nel quale si esprime la discrezionalità amministrativa e l’adesione del contribuente al suo dispiegarsi.

Ma è quello – all’opposto – liberato dalla discrezionalità dell’amministrazione.

Il legislatore è il centro della riforma. I principi dell’articolo 23 e dell’articolo 53 della Costituzione il fulcro attorno al quale costruire la vera compliance.