La decisione non è legata per legge alla ricognizione
L’eredità è il complesso dei rapporti giuridici attivi e passivi del defunto; di questi rapporti diviene titolare l’erede e cioè il chiamato all’eredità (per legge o per testamento) che accetti l’eredità. Accettare l’eredità significa rispondere dei debiti del defunto anche se il loro valore eccede il valore dell’attivo ereditario. Bisogna prestare quindi estrema attenzione alle modalità con le quali un’eredità viene accettata dal chiamato: una volta che sia intervenuta l’
L’eredità si può accettare con tre diverse modalità:
l’accettazione espressa, vale a dire la dichiarazione con la quale il chiamato manifesta (oralmente o per iscritto, non necessariamente in un atto notarile) la volontà di diventare erede;
l’accettazione tacita, e cioè il compimento di un atto, inerente un bene o un rapporto compresi nell’eredità, che il chiamato non avrebbe il diritto di compiere se non avesse la volontà di diventare erede (ad esempio, la vendita di una autovettura appartenuta al de cuius);
l’accettazione presunta (o ex lege), e cioè la situazione che matura per il fatto che il chiamato abbia il “possesso” dei beni ereditari (e cioè una qualsiasi relazione materiale con essi) e decorrano tre mesi dall’apertura della successione senza che il chiamato abbia fatto l’inventario (se l’inventario è stato fatto, l’eredità si considera accettata qualora il chiamato, entro i quaranta giorni dal compimento dell’inventario, non dichiari di rinunciare all’eredità o di avvalersi del beneficio di inventario).
È bene ricordare, a quest’ultimo riguardo, che il “possesso” dal quale discende l’accettazione presunta dell’eredità può essere anche il possesso di un solo giorno (Cassazione, sentenza n. 1317/1984), il possesso di un solo bene (Cassazione n. 4707/1994 e n. 11018/2008), il possesso di un bene di irrilevante valore (Cassazione n. 3175/1979).
Se fosse vero che il chiamato possessore dovrebbe redigere l’inventario per poter rinunciare validamente, allora vorrebbe dire che chiunque conviva con una persona che sia poi defunta in presenza di una sua grave situazione debitoria dovrebbe procedere all’inventariazione al fine di poter rinunciare all’eredità: per definizione, il convivente del defunto ne possiede un qualche bene (non fossero altro che gli “effetti personali”). Ma questa non è una interpretazione plausibile: quando la legge parla della rinuncia come di una facoltà del chiamato che ha redatto l’inventario (in alternativa alla facoltà di accettazione dell’eredità), non sta dicendo che per rinunciare occorre prima inventariare. Sta solo dicendo che, una volta accertata, per il tramite dell’inventario, la consistenza della massa patrimoniale dimessa dal defunto, ci sono tre possibili strade che il chiamato può percorrere: l’accettazione pura e semplice, l’accettazione beneficiata e la rinuncia all’eredità.
In altri termini, la rinuncia all’eredità può essere sia il frutto di una scelta radicale (è la scena del chiamato che non vuole acquisire il patrimonio ereditario senza nemmeno voler sapere come esso è composto) sia il frutto di una scelta meditata (e cioè dopo aver inventariato l’eredità). Sostenere che, in caso di possesso di beni ereditari, occorre necessariamente far luogo all’inventario per poter rinunciare significa inventare un onere che il Codice civile non prevede.