La giustificazione debole non basta in caso di omesso contraddittorio
Nell’ambito delle contestazioni in tema di tributi armonizzati, l’omissione da parte dell’amministrazione finanziaria del contraddittorio preventivo con il contribuente , in linea con l’orientamento espresso dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, determina l’invalidità dell’atto impositivo sempreché, nell’ambito del contenzioso, il giudice verifichi in concreto le ragioni che il contribuente avrebbe potuto far valere nell’ipotesi in cui l’Ufficio lo avesse convocato prima dell’emissione dell’atto accertativo. L’amministrazione giudiziaria invocata per giustificare il “disordine” nella tenuta della contabilità non è idonea a superare la prova di resistenza. Ai fini delle imposte dirette è da considerarsi ammissibile la produzione, anche per la prima volta in appello, di documentazione contabile non esplicitamente richiesta dall’Ufficio e idonea a incidere sul calcolo del maggiore reddito imponibile e del valore della produzione (ad esempio costi di gestione). Ciò in ossequio al superiore principio costituzionale della tassazione secondo l’effettiva capacità contributiva. Questi i principi di diritto che emergono dalla sentenza 3135/14/2019 della Ctr Lombardia .
Lo scenario
L’obbligo di attivazione del contraddittorio preventivo con il contribuente prima di emettere l’atto impositivo è un tema che negli ultimi anni è stato molto dibattuto nelle aule di giustizia tributaria sia con riferimento alle modalità con cui viene condotta l’attività accertativa (verifica in loco o a tavolino) che al tipo di imposta accertata , armonizzata o non armonizzata (si veda anche Il Quotidiano del Fisco del 17 aprile 2019 e del 15 marzo 2019). Il contrasto e il dibattito giurisprudenziale, sia di merito che di legittimità, ha probabilmente spinto il legislatore ad intervenire recentemente prevedendo un obbligo generalizzato di contraddittorio (articolo 4-octies, comma 1, lettera b, del Dl 34/2019), introducendo l’articolo 5-ter al Dlgs 218/1997, secondo il quale «l’ufficio, fuori dei casi in cui sia stata rilasciata copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, prima di emettere un avviso di accertamento, notifica l’invito a comparire di cui all’articolo 5 per l’avvio del procedimento di definizione dell’accertamento». Pertanto, in base al nuovo dettato normativo, a partire dagli avvisi di accertamento emessi dal primo luglio 2020, vi è l’obbligo da parte dell’amministrazione di invitare al contraddittorio preventivo il contribuente anche al di fuori delle ipotesi di attività istruttoria condotta tramite accessi, ispezioni e verifiche (già coperta dalle garanzie previste dall’articolo 12 , comma 7, dello Statuto dei diritti del contribuente).
Va altresì evidenziato sia che la modifica ha escluso dall’obbligo gli avvisi di accertamento parziale (articolo 41-bis del Dpr 600/1973 e articolo 54 del Dpr 633/1972), i tributi locali e gli altri tributi indiretti ma, in particolare, che l’avviso di accertamento emesso in difetto di invito al contraddittorio con il contribuente è nullo solo se il contribuente offre la prova di resistenza, ossia dimostri in concreto, in sede di impugnazione dell’atto impositivo, le ragioni che avrebbe potuto far valere se il contraddittorio fosse stato correttamente attivato. La sentenza in commento si esprime proprio sul principio testé citato.
Il caso
La controversia concerneva l’impugnazione da parte di una società di capitali di un avviso di accertamento emesso dall’Ufficio , ai fini Ires, Iva e Irap, in seguito ad una verifica “a tavolino” dalla quale emergeva che la ricorrente non aveva depositato il bilancio per l’anno d’imposta in contestazione e aveva presentato dichiarazione dei redditi incomplete. Su apposita contestazione della contribuente circa l’omissione del contraddittorio la Ctp di Milano ne respingeva le doglianze sottolineando che non esiste un obbligo di contraddittorio preventivo generalizzato in capo all’ Amministrazione finanziaria e che il contribuente aveva dedotto circostanze poco significative per ritenere che l’Ufficio si sarebbe determinato diversamente qualora avesse instaurato un contraddittorio preventivo. Dello stesso parere la Ctr lombarda che però aggiunge ulteriori considerazione sul tema oltre a riformare parzialmente la sentenza in virtù della documentazione prodotta per la prima volta in appello.
Preliminarmente i giudici regionali affermano di condividere quanto espresso dalla Cassazione (24823/2015) secondo cui in tema di tributi non armonizzati l’obbligo sussiste solo in ipotesi previste dalla legge e non in via generale. Entrando, poi, nel merito della fattispecie esaminata rilevano che l’Ufficio non ha effettuato alcuna ripresa ai fini Iva, svolgendo la società attività esente Iva, ma ha esclusivamente irrogato la sanzione per omessa fatturazione; rispetto a tale contestazione, chiosa il Collegio, il contribuente non aveva dedotto in sede contenziosa alcuna valida ragione che avrebbe potuto ragionevolmente indurre in fase endoprocedimentale l’Ufficio a rinunciare all’esercizio della sua potestà sanzionatoria (sul punto viene rigettata la motivazione addotta dalla società , per vincere la prova di resistenza, che le irregolarità riscontrate dall’’Ufficio nella tenuta della contabilità e nelle dichiarazioni dovevano ascriversi al fatto che la stessa fosse sottoposta ad amministrazione giudiziaria, ciò in quanto l’amministratore giudiziario è titolare ex lege degli obblighi dichiarativi e contabili che gravano sulla società durante il suo mandato). In altro passaggio della motivazione il Collegio, pur riconoscendo la legittimità della ricostruzione induttiva del reddito, avallata dai primi giudici in considerazione della scarna documentazione prodotta in primo grado dalla società, inidonea a fornire quella prova di resistenza che avrebbe avvalorato l’eccezione di violazione del contraddittorio preventivo, considera invece ammissibile la “ completa e attendibile” documentazione prodotta per la prima volta in appello da parte del professionista che curava la contabilità della società nel corso dell’anno contestato, non operando la preclusione dell’articolo 32 del Dpr 600/73 in quanto l’Ufficio non aveva effettuato un’esplicita e specifica richiesta in tal senso al contribuente.
Pertanto, in ossequio al principio superiore e costituzionale di capacità contributiva, i giudici regionali, in riforma parziale della sentenza di primo grado, ordinano all’agenzia delle Entrate la rideterminazione dell’imponibile in considerazione dei costi di gestione emergenti dalla documentazione prodotta per la prima volta in appello , ciò al fine di garantire il rispetto del principio di correlazione tra costi e ricavi.
Ctr Lombardia, sentenza 3135/14/2019