La linea di confine tra piano e proposta è ancora poco chiara
Rimane critica nel concordato preventivo, anche nel più recente orientamento di legittimità, la distinzione tra piano e proposta, elementi caratterizzati da un rapporto di sequenzialità.
La proposta, quale strumento negoziale finalizzato all’incontro delle volontà di debitore e creditori si regge infatti sul piano, che rappresenta il mezzo tecnico per l’adempimento del concordato. Per quanto a una prima impressione possa apparire piuttosto delineato, il confine tra i due elementi tende in concreto a confondersi, rendendo problematico sia il controllo giudiziale che le verifiche di fattibilità cui è chiamato l’attestatore.
La questione ha assunto ulteriori profili di complessità alla luce dei vincoli impressi dalla riforma operata dal Dl 83/2015. Se ad esempio si considerano gli adempimenti imposti dall’articolo 161 della legge fallimentare, in base al quale, tra le altre cose, il debitore è tenuto a precisare l’utilità economica che si impegna ad assicurare a ciascun creditore.
Dovrà dunque il professionista limitarsi ad attestare, unitamente alla veridicità dei dati, la fattibilità del piano, oppure sarà tenuto a spingersi oltre, indagando i contenuti della proposta, per verificarne i profili di utilità e valutare se gli obblighi assunti dal debitore potranno essere adempiuti in termini di ragionevole certezza? La questione appare di non semplice soluzione, perché se da un lato è evidente, come hanno sottolineato alcuni sentenze (Corte d’appello di Firenze, 29 maggio 2012), che la fattibilità dell’accordo non può avere ad oggetto la fattibilità del piano, che va tenuto distinto dalla proposta, è altresì indubbio che verificare la fattibilità del piano significa valutare la sua capacità di assolvere la funzione per cui è stato predisposto, vale a dire costituire lo strumento per l’adempimento del concordato. Non a caso l’articolo 161, comma 2, lettera e), della legge fallimentare precisa che il piano deve contenere la «descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta».
Torniamo dunque in quel contesto di labili confini che rende quanto mai complicato il compito assegnato all’attestatore.La questione s’intreccia con il controverso tema dei limiti d’ingerenza del giudice sul controllo della fattibilità economica, oggetto di recente dibattito giurisprudenziale. La Suprema Corte è ripetutamente intervenuta sull’argomento negli ultimi mesi, ribadendo a più riprese come la funzione di controllo del giudice non possa essere relegata a un ambito meramente formale, limitato a un semplice controllo astratto della regolarità della procedura, ma debba estendersi a una verifica della «idoneità della proposta a raggiungere il risultato che si propone» (Cassazione civile, sentenza 6924/2018). Valutazione che non può rimanere circoscritta all’accertamento della conformità della proposta ai parametri di legge, ma deve altresì riguardare non tanto la convenienza della proposta, che rimane esclusivo appannaggio del ceto creditorio, quanto l’effettiva attitudine del piano a realizzare l’obiettivo economico prefissato.