La mancata allegazione dell’autorizzazione non inficia le indagini finanziarie
L'autorizzazione propedeutica alla realizzazione delle indagini bancarie soddisfa intenti di mero controllo delle dichiarazioni e dei versamenti delle imposte e non reclama alcuna motivazione. Di conseguenza l’omessa presentazione al contribuente coinvolto non implica l’illegittimità dell’avviso di accertamento suffragato dalle risultanze delle movimentazioni bancarie acquisite dall’amministrazione finanziaria, in quanto l’illegittimità può essere dichiarata esclusivamente nella circostanza in cui le movimentazioni siano state ottenute in assenza dell’autorizzazione e a condizione che tale inadempienza abbia generato un tangibile detrimento al contribuente. A stabilirlo è stata la sentenza 17457/2017 della Cassazione .
Tramite un pvc la Guardia di Finanza ha rilevato, dall’esame dei conti correnti accesi da due contribuenti e dalla loro Snc, che erano stati effettuati versamenti bancari per 101 milioni di lire all’epoca dei fatti, oltre a prelevamenti per oltre 243 milioni sempre di lire. In ordine a tali movimentazioni, il legale rappresentante della società non aveva fornito alcuna giustificazione, né si era riscontrata traccia nei registri obbligatori contabili della Snc.
L’ufficio, sulla base del processo verbale, ha contestato con separati avvisi di accertamento alla società ricavi non dichiarati ai fini Irap e Iva per un totale di 344,2 milioni di lire e ai due soci i rispettivi maggiori redditi di partecipazione. I ricorsi proposti dalla società e dai soci dinanzi alla Ctp sono stati contestualmente decisi e accolti mentre gli appelli proposti dall’agenzia delle Entrate sono stati rigettati dalla Ctr della Sicilia.
Nel proprio ricorso per Cassazione l’ufficio ha denuncia la violazione dell’articolo 32 del Dpr 600/1973 e dell’articolo 51 del Dpr 633/1972 per avere la Ctr ritenuto necessaria, ai fini della legittimità dell’avviso di accertamento impugnato, la produzione dell’autorizzazione alle indagini bancarie, nonostante dal pvc richiamato nell’avviso di accertamento risultasse che l’autorizzazione era stata rilasciata dal Comando regionale della Guardia di Finanza.
A parere del collegio il motivo è risultato fondato in quanto l’autorizzazione prescritta dall’articolo 32 del Dpr 600/1973 e dall’articolo 51 del Dpr 633/1972, ai fini dell’espletamento delle indagini bancarie, risponde a finalità di mero controllo delle dichiarazioni e dei versamenti d’imposta e non richiede alcuna motivazione. Ne discende che, la mancata esibizione della stessa all’interessato, non comporta l’illegittimità dell’avviso di accertamento fondato sulle risultanze delle movimentazioni bancarie acquisite dall’ufficio, potendo l’illegittimità essere dichiarata soltanto nel caso in cui dette movimentazioni siano state acquisite in materiale mancanza dell’autorizzazione e sempre che tale carenza abbia prodotto un concreto pregiudizio per il contribuente (Cassazione, ordinanza 3628/2017).
I giudici di legittimità hanno evidenziato inoltre che, l’autorizzazione necessaria agli uffici per l’espletamento di indagini bancarie non deve essere corredata dall’indicazione dei motivi, non solo perché in relazione a essa la legge non dispone alcun obbligo di motivazione ma anche perché la medesima, nonostante il nomen iuris adottato, esplicando una funzione organizzativa incidente esclusivamente nei rapporti tra uffici e avendo natura di atto meramente preparatorio inserito nella fase di iniziativa del procedimento amministrativo di accertamento, non è nemmeno qualificabile come provvedimento o atto impositivo, tipologie di atti per i quali è previsto l’obbligo di motivazione (Cassazione, sentenza 14026/2012). Pertanto, il contribuente ha pieno titolo per eccepire l’omessa autorizzazione (e non l’omessa motivazione del provvedimento autorizzativo o della relativa richiesta), ma lo potrà fare unicamente qualora egli sia in grado di dimostrare che il pregiudizio subìto sia certo, effettivo e tale da inficiare il risultato finale del procedimento. Tale pregiudizio non può concernere né il diritto alla riservatezza, né tantomeno il diritto di difesa (Cassazione, ordinanza 16579/2013).
Cassazione, sentenza 17457/2017