Imposte

La manovra salva l’Iva al 10% sul cibo da asporto e a domicilio

Votato un emendamento con una norma interpretativa per superare il contrasto tra Mef e agenzia delle Entrate

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di Matteo Balzanelli e Massimo Sirri

La legge di Bilancio risolve, con una norma d’interpretazione autentica, il contrasto interpretativo in materia di applicazione dell’aliquota Iva ridotta sulle cessioni di piatti da asporto o con consegna a domicilio, spesso ordinati tramite app.

Grazie a un emendamento alla prossima legge sui conti dello Stato, approvato domenica 20 dicembre in commissione Bilancio alla Camera, dovrebbe quindi essere ammessa l’applicazione dell’aliquota del 10% anche al servizio di asporto e consegna di piatti, “equiparandolo” alla somministrazione di alimenti e bevande eseguita all’interno dei locali del ristorante. Per queste operazioni, la riduzione di aliquota è prevista dal n. 121 della Tabella A, parte III, allegata al Dpr 633/1972, come sottolineato anche dal principio di diritto n. 9/2019 che riconduce l’attività di somministrazione alla categoria delle prestazioni di servizi. L’intervento normativo interesserà il n. 80 della medesima parte III della Tabella, includendo nella categoria delle preparazioni alimentari ivi indicate, anche le cessioni di piatti pronti e pasti cotti, arrostiti, fritti o altrimenti preparati «in vista del loro consumo immediato, della loro consegna a domicilio o dell’asporto».

Si ricompone così il “dissidio” (si veda anche l’articolo su NT+ Fisco) fra le aperture contenute nella risposta all’interrogazione parlamentare n. 5-05007 del 18 novembre scorso e l'atteggiamento più rigorista espresso nella risposta a interpello n. 581/2020, secondo cui la cessione di alimenti e bevande, ancorché eseguita con utilizzo di un’applicazione che consente di scegliere la composizione dei piatti e ottimizzare i tempi di preparazione dei pasti, non è riconducibile a una prestazione di somministrazione se manca il consumo nei locali del ristorante.

Senza smentire la logica che vuole mantenere distinta l’attività di somministrazione da quella di cessione (visto che l’intervento amplia semplicemente la categoria delle preparazioni alimentari che fruiscono dell'aliquota ridotta), la modifica normativa conduce al medesimo auspicato risultato di diminuire il costo al consumo di tali modalità di fruizione dei pasti.

Resta da vedere se la scelta di agire con una norma interpretativa - che tutela chi già provvede ad applicare l'aliquota del 10% - non rischi di aprire un altro fronte. Ci riferiamo al rischio di aver eventualmente applicato un’aliquota superiore a quella che, in via d’interpretazione autentica, risulterebbe essere sempre stata la misura giusta dell’imposta per tali operazioni. Forse si poteva dare decorrenza posticipata alla nuova disposizione, facendo nel contempo salvo il comportamento di chi in precedenza ha applicato l'aliquota ridotta.

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