Niente Iva al 10% per la vendita di cibi e bevande ordinati via app al ristorante
L’interpello 581 contraddice la risposta a question time del Mef: la parola passa ora alla Corte di giustizia Ue
La cessione di prodotti alimentari e di bevande ai consumatori, effettuata presso il ristorante a seguito dell'ordinazione mediante app, non si configura come una somministrazione ai sensi della normativa Iva e, pertanto, non è assoggettabile all'aliquota ridotta del 10 per cento.
Con la risposta ad interpello del 14 dicembre, n. 581 si crea un corto circuito sul tema dell'aliquota Iva applicabile alle cessioni di beni da asporto. Il tema, particolarmente sentito in questo periodo, è stato di recente all'attenzione della Camera (risposta all'interrogazione 5-05007 nel corso del question time, qui l’articolo su NT+ Fisco). In quella sede è stato detto che la vendita da asporto e la consegna a domicilio rappresentano modalità integrative mediante le quali i titolari di bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie, eccetera, possono svolgere la loro attività. Di conseguenza, entrambe le fattispecie sono state ricondotte al concetto di somministrazione con l'applicazione dell'aliquota Iva del 10 per cento.
Il chiarimento trova origine nello stato di emergenza dovuto al Covid. Secondo l'atto della Camera, in virtù della riduzione dei coperti per il rispetto degli stringenti vincoli igienico-sanitari per la somministrazione in loco degli alimenti, i ristoratori potrebbero ricorrere all'alternativa dell'asporto e della consegna a domicilio e, sul piano Iva, sarebbero tutte soggette allo stesso trattamento.
Diversa la riflessione delle Entrate che non si lasciano contaminare dalle difficoltà che l'intero settore della ristorazione sta subendo in tale periodo mantenendo, di fatto, un profilo più giuridico. Nello specifico, nel caso esaminato dalla Entrate, attraverso l'utilizzo di un'apposita app i clienti possono procedere all'acquisto di prodotti alimentari/bevande venduti singolarmente o di prodotti alimentari/bevande confezionati in assortimento per il consumo al minuto. L'app consente al cliente di personalizzare la preparazione del prodotto e di scegliere la modalità di ritiro dei prodotti selezionati (consegna alla cassa del ristorante oppure servizio al tavolo del ristorante). Gli addetti del ristorante procedono alla preparazione dei prodotti alimentari e delle bevande, secondo le istruzioni e le personalizzazioni richieste dal consumatore, al suo arrivo presso il ristorante.
Ebbene, secondo la soluzione dall'istante, la personalizzazione degli alimenti prescelti, richiedendo “lo scrupoloso intervento umano”, sarebbe tale da qualificare l'operazione quale servizio di somministrazione piuttosto che cessione. Dal canto suo, l'Agenzia, facendo richiamo alla giurisprudenza della Corte di giustizia sul tema, ricorda che, al fine di qualificare un'operazione come un servizio di ristorazione, deve essere preponderante la componente relativa ai servizi di supporto che consentono al consumatore finale il consumo immediato. Neppure la predisposizione di semplici banchi per il consumo sarebbe idonea a qualificare l'operazione come somministrazione. La linea restrittiva dei giudici europei, applicata al caso di specie, porta a concludere che l'utilizzo dell'app non è, di per sé, sufficiente a concretizzare un servizio di somministrazione né la preparazione del prodotto finale, costituita essenzialmente da “azioni standardizzate”, è tale da cambiare le cose. In altre parole, nel caso in cui gli alimenti/bevande acquistate tramite app non vengono consumate presso il ristorante, prevale il carattere di asporto per cui ciascun bene sarà tassato con la propria aliquota.
La pronuncia di ieri pone disordine tra gli operatori del settore. A questo punto non resta che attendere l'esito del procedimento dinanzi alla Corte di Giustizia (caso C-703/19), chiamata appunto a pronunciarsi sul trattamento Iva nei casi di asporto.