Diritto

La modifica delle regole sul voto delegato non giustifica il recesso del socio

Il dissenso sulla revisione dello statuto non giustifica la rinuncia alle azioni

di Giovanbattista Tona

Il socio che in assemblea manifesta il suo dissenso alla modifica della disciplina statutaria delle modalità di esercizio del diritto di voto tramite delegato, qualora poi la modifica viene approvata, non può rivendicare il diritto a recedere per tutte o parte delle sue azioni. Lo ha stabilito il Tribunale di Venezia con la sentenza del 24 febbraio 2021.

La giurisprudenza di merito continua ad interrogarsi su quali siano le ipotesi in cui il socio dissenziente possa recedere dalla società quando subisce una modifica delle regole statutarie che non condivide e che quindi muta le condizioni del rapporto sociale al quale aveva inizialmente aderito.

Norma di riferimento è l’articolo 2437 del Codice civile che elenca le deliberazioni dalle quali può derivare il diritto di recesso. Tra queste quella di più frequente applicazione e al contempo di più problematica interpretazione è descritta alla lettera g): le modificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto o di partecipazione.

La Cassazione ha ribadito anche di recente (sentenza 13845/2019) un chiaro indirizzo contrario ad un’interpretazione estensiva delle ipotesi di recesso. Posto che a quelle previste dalla legge le parti che sottoscrivono uno statuto possono aggiungerne altre nell’esercizio della loro autonomia contrattuale, le specifiche ipotesi di recesso, anche quelle statutarie, devono essere applicate restrittivamente in ossequio all’esigenza di certezza funzionale al buon andamento della società: deve essere chiaramente prevedibile da quale modifica può scaturire il diritto del socio dissenziente di recedere.

In questa ottica la giurisprudenza di legittimità ha precisato che l’articolo 2347 lettera g) del Codice civile fa riferimento ai diritti di partecipazione che devono intendersi esclusivamente come quelli di contenuto e natura patrimoniale, non anche a tutti i diritti partecipativi, compresivi di quelli amministrativi nelle loro molteplici forme. Ciò lo si ricava dal fatto che il legislatore contempla insieme ad essi, e con la disgiuntiva “o”, anche i diritti di voto, che sono per l’appunto diritti amministrativi e che non avrebbe avuto senso inserire se già compresi nel riferimento ai diritti di partecipazione (Cassazione 13875/2017).

E così, ad esempio, nessun dubbio ha avuto la giurisprudenza nell'affermare l’insorgenza del diritto di recesso in capo al socio dissenziente quando viene modificata una clausola statutaria direttamente attinente alla distribuzione dell'utile di esercizio, che influenzi in negativo i diritti patrimoniali dei soci; tale è stata considerata quella che prevedeva una riduzione della percentuale ammissibile di distribuzione e l'aumento della percentuale da destinare a riserva. Questo era il caso di cui si è occupata la sentenza della Cassazione 13845/2019, sopra richiamata.

Nel caso di cui si è occupato il Tribunale di Venezia, invece, una società cooperativa per azioni aveva modificato a maggioranza lo statuto nella parte in cui disciplinava le modalità di esercizio del voto da parte del socio impedito a partecipare all’assemblea, limitando la facoltà di delega, consentendola solo in favore del coniuge, di un genitore, un figlio, un fratello o una sorella ed espressamente escludendo la possibilità (prima invece prevista) di delegare terzi estranei all’ambito familiare.

Questa modifica era ritenuta dal socio una limitazione del diritto di partecipazione o di voto.

Escluso che si trattasse di una limitazione al diritto di partecipazione, visto che non investiva i profili di carattere patrimoniale, i giudici si sono chiesti se i diritti di voto siano pregiudicati dalla disciplina della facoltà di delega riconosciuta al socio. E hanno dato risposta negativa.

Conculcare la facoltà di delegare terzi per esprimere il voto in assemblea, non comporta una limitazione del riconoscimento del diritto di voto del socio ma una mera regolamentazione della facoltà di farsi rappresentare.

In linea con l’orientamento che impone un’interpretazione restrittiva delle ipotesi di recesso, pertanto, di quella modifica statutaria il Tribunale di Venezia ha evidenziato il fatto che lasciava intatto il godimento dei medesimi diritti di voto del socio e che, invece, disciplinava diversamente le modalità di esercizio delle medesime facoltà riconnesse a tali diritti. Sicchè non poteva sorgere alcun diritto di recesso in capo al socio dissenziente.

QUANDO È POSSIBILE ANDARSENE

1) RECESSO AMMESSO
Diritto di partecipazione

Il socio che esprime voto contrario alla delibera assembleare che modifica lo statuto con riguardo ai diritti di partecipazione o di voto ha diritto a recedere per tutte o parte delle proprie azioni in base alla previsione contenuta nell’artcolo 2437 lettera g) del Codice civile. I diritti di partecipazione sono quelli che hanno contenuto e natura patrimoniale. Sicchè la modifica di una clausola statutaria, direttamente attinente la percentuale di distribuzione dell'utile di esercizio, giustifica il recesso dei soci dissenziente
Corte di Cassazione, sentenza 13845/2019


2) RECESSO VIETATO
Rappresentazione delegata
La modifica dello statuto nella parte in cui regolamenta la facoltà del socio di farsi rappresentare da terzi in assemblea, introducendo il divieto di delegare soggetti diversi da familiari del socio, non può considerarsi una limitazione del diritto di partecipazione, perché non attiene a profili patrimoniali. E non è considerabile nemmeno come una limitazione del godimento del diritto di voto, perché incide esclusivamente sulle modalità di esercizio di quel diritto e non sul suo contenuto
Tribunale Venezia, sentenza 26 febbraio 2021

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