Professione

La professione non piace più. In dieci anni -15% di abilitati

Pesano la diminuzione dei redditi e l’allungamento dei tempi per l’impiego dopo la laurea

di Antonello Cherchi e Valeria Uva

È allarme giovani per le professioni. Gli ultimi dati degli esami di abilitazione che aprono le porte degli Albi professionali sono preoccupanti: i laureati che si sono iscritti e hanno superato l’esame di Stato sono diminuiti del 15,5% negli ultimi dieci anni, dal 2010 al 2019. In termini assoluti, guardando ai dati del ministero dell’Università e della ricerca su chi ha superato le prove (quelli dei candidati non sono disponibili), in quest’arco di tempo si sono “persi” 7mila accessi al mondo professionale: erano 45.177 gli abilitati del 2010 (di cui il 55% donne), mentre quelli del 2019 sono 38.172, con un incremento di tre punti percentuali per la componente femminile.

LA CADUTA DI APPEAL DELLO STUDIO PRIVATO

Certo entrando nel dettaglio delle singole categorie la realtà è molto più composita: accanto a professioni dimezzate, come i commercialisti (-64%) e gli ingegneri dell’informazione (-76%), ci sono anche categorie che non arretrano, ma al contrario registrano un significativo progresso. È cosi per gli ingegneri civili e ambientali (+ 22% ) e per i medici (+25%) e per un’altra manciata di professioni i cui sbalzi da record sono dovuti anche ai numeri comunque molto bassi (paesaggisti e tecnologi alimentari tra questi). Assenti, in questa fotografia, solo i consulenti del lavoro, perché i dati sulle abilitazioni solo disponibili solo a livello territoriale.

Giovani sfiduciati
Il calo dei nuovi ingressi nelle professioni ordinistiche riflette anche la sfiducia dei giovani verso il percorso universitario breve, ovvero la sola laurea triennale. Vistosi segni meno compaiono, infatti, accanto ai profili junior. Così ad esempio per gli architetti (-70% nel decennio, tanto che all’ultimo esame sono passati in meno di cento) e per tutte le specializzazioni dell’ingegneria, mentre per i geometri (-41% dal 2015) proprio l’avvio del percorso di laurea triennale accanto al diploma potrebbe aver allungato i tempi delle abilitazioni ed essere tra le cause del calo.

Il segno meno però è un primo segnale allarmante per tutti. Anche perché nel breve termine non si vede inversione di tendenza: il calo demografico, infatti, comporterà comunque una riduzione della platea dei laureati e di conseguenza di chi si avvicinerà alla libera professione.

Gli Albi resistono

Il problema è concentrato soprattutto sui giovani. Come ha dimostrato anche «Il barometro delle professioni», l’inchiesta in più puntate del Sole 24 ore del Lunedì appena conclusa. Quasi tutte le categorie analizzate hanno visto crescere - anche se in alcuni casi in misura minima, come per i commercialisti - gli iscritti nel periodo 2010-2020: così è stato per avvocati, notai, ingegneri e architetti. Fanno eccezione i consulenti del lavoro, passati dai 26.788 del 2010 ai 25.279 del 2020 (-5,6%). Anche negli Albi in crescita scarseggiano, però, le«vocazioni»: praticanti dimezzati, ad esempio, per commercialisti e notai.

IL LAVORO

A scoraggiare i neolaureati a intraprendere il lavoro autonomo sono i percorsi ancora lunghi di accesso, che dopo la crisi economica si sono ulteriormente appesantiti. Secondo Almalaurea, ai laureati di secondo livello nel 2015 per trovare lavoro è servito in media quasi un anno, contro i 9,8 mesi del 2012 (laureati 2007). Con tempi raddoppiati per gli architetti e punte di 23 mesi di attesa per gli avvocati.

Gavetta dura
Pesa poi la gavetta dei primi anni. La distanza tra i redditi medi dichiarati alle Casse da tutti gli iscritti e quelli dei giovani under 35 (rilevata dal «Barometro»)  è a volte un fossato. Al primo posto gli avvocati: i 16.480 euro di media degli under 35 sono distanti due volte e mezza dai 40mila della media di categoria . Situazione analoga per i commercialisti: 2,3 volte più basso della media il reddito dei giovani.

Ma i giovani non sono l’unico anello debole. Come rileva il Censis, la differenza di reddito fra uomini e donne è di circa 15mila euro, rispettivamente 122% e 78% sul valore medio.

C’è poi la diversa condizione reddituale fra un professionista del Nord e uno del Mezzogiorno: la differenza in questo caso supera i 14mila euro a sfavore del secondo. Divari che si innestano su una situazione di arretramento complessivo dei redditi.

Il fenomeno cancellazioni

Gli Ordini cominciano a fare i conti anche con l’aumento degli abbandoni, fenomeno che ridimensiona la crescita degli iscritti agli Albi. Per esempio, se si prende in considerazione una delle categorie più affollate come quella degli avvocati, dal 2012 al 2019 è raddoppiata la quota di coloro che hanno lasciato la Cassa di previdenza (circa 6mila professionisti). Fenomeno che, secondo Cassa forense, è destinato a crescere per effetto delle chance di impiego nella pubblica amministrazione offerte dal Pnrr (si veda Il Sole 24 Ore del 26 luglio).

Un percorso quello verso il classico “posto fisso” che è già tracciato per gli ingegneri, grazie alla fortissima domanda di mercato: dei 27mila laureati del 2018, solo 7.900 hanno scelto di abilitarsi e, di questi, solo la metà (3.570) ha deciso di iscriversi all’Albo. Questi ultimi sono soprattutto i progettisti, per i quali l’abilitazione è obbligatoria, mentre gli altri ingegneri (soprattutto quelli gestionali e informatici) sembrano preferire il lavoro dipendente e fare, pertanto, a meno dell’Albo.

Una tendenza che le opportunità offerte dal Pnrr potranno amplificare. E non solo per gli ingegneri.

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