La retromarcia continua del fisco fra promesse e realismo
Sano realismo o ammissione di debolezza? Fermare il passaggio dagli studi di settore agli Indicatori sintetici di affidabilità (gli Isa) è una mossa prudente o segna un passo indietro nello sforzo di migliorare il rapporto con il Fisco?
Entrambe le cose sono vere, verrebbe da dire, parafrasando il famoso bicchiere pieno o vuoto a metà. La macchina amministrativa girava già a buon passo nella realizzazione degli Isa, che per almeno un milione di soggetti potevano prendere il via dalle prossime dichiarazioni. Ma lasciando affidata agli studi di settore una platea più che doppia, con una differenza di trattamento evidente e qualche timore di illegittimità. E fin qui il rinvio è un atto di realismo.
Dall’altro versante, però, resta l’ennesima correzione in corsa di un 2017 funestato quanto mai prima da rinvii, modifiche, ritocchi e balletti di date. Celebriamo (si fa per dire) proprio oggi la nuova scadenza del 7 dicembre per la terza rata della rottamazione, finalmente confermata dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della legge di conversione del Dl 148. Un sospiro di sollievo, dopo che il 30 novembre è trascorso per molti nell’incertezza se pagare o non pagare. Visto dalla coda di questi mesi, il rinvio degli Isa diventa un altro dei molti ordini e contrordini, dall’Iri, allo split payment allo spesometro.
Se l’indicazione sarà confermata dalle Camere, avremo ancora per un anno uno strumento di accertamento e non un meccanismo per favorire la compliance, l’adeguamento spontaneo: questi erano l’obiettivo e la promessa del passaggio agli Isa. Sapendo però che, per la stessa amministrazione, gli studi hanno ormai perduto il ruolo di strumenti per il controllo: gli accertamenti da studi di settore sono ormai qualche migliaio, con percentuali da zero virgola sul totale degli interessati. E quel 28% circa che non si adegua alle cifre di Gerico (il software che giudica la bontà dei dati immessi dal contribuente, secondo i dati riportati sul Sole 24 Ore del 24 novembre) non si traduce tout court in evasione, ma va più ragionevolmente distinto tra onda lunga della crisi, rovesci economici, scarsa capacità imprenditoriale in qualche caso (parliamo pur sempre di piccole attività), per arrivare infine all’evasore tenace. In queste condizioni, gli studi sembrano davvero avere esaurito, dopo quasi vent’anni di contestato utilizzo, gran parte della loro forza originaria.
Ma il dietrofront sugli Isa non è l’unica mossa che interessa il calendario 2018: potranno spostarsi molte delle date chiave relative alle dichiarazioni, dalla certificazione unica al 730, dal 770 al Modello Redditi (lo chiamavamo Unico). Anche qui, c’è un po’ di sano realismo, perché conviene prendere atto delle ripetute proroghe (il 770, tanto per fare un esempio, è utente seriale del rinvio da luglio a settembre). Ma c’è anche un po’ di smarrimento. Nostro, questa volta, non dei proponenti. Perché nel già ricordato decreto legge 148 è appena entrata in vigore la norma che consente all’agenzia delle Entrate di rinviare i termini anche di 60 giorni, con un semplice provvedimento del direttore (articolo 19 octies, commi 4 e 5). Quindi, in caso di malaugurati pasticci con le dichiarazioni del 2018, dal 31 ottobre si potrebbe arrivare al 30 dicembre. A un soffio dal modello di San Silvestro.