Professione

La riforma Trump (quasi) in linea Ocse

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di Alessandro Galimberti

E se la Tax reform di Trump fosse tutto il contrario di come è stata finora dipinta? E i falsi miti che la circondano solo frutto di mancata conoscenza (o di mera conoscenza del suo “testimonial” presidenziale) ? A proporre una rilettura critica della rivoluzione trumpiana - che, è bene ricordare, resta in attesa di regolamenti, braccio di ferro in corso tra Irs/Treasury e Congresso - è stato ieri Raffaele Russo, ex Ocse (progetto Beps) oggi tornato al Mef ma con occhi sempre volti alla fiscalità cross-border. Secondo Russo - ospite ieri al terzo Tax Day di Dla Piper Italy - gran pare dei luoghi comuni sulla riforma Trump sono, appunto, luoghi comuni. La mancata firma sulla convenzione Ocse (giugno scorso), ha detto Russo, spiega poco perchè «gli Usa attuano l’equivalente del Base erosion molto più di altri, e in fondo il nuovo Gilti (Global Intangible Low Tax Income, ndr) è una sorta di “super”Cfc. Ricordiamoci poi, anche proprio in relazione alle Cfc, che gli americani in materia fiscale hanno sempre fatto da apripista, e probabilmente anche oggi sono in questa condizione». In sostanza, ha spiegato l’ex delegato all’Ocse, la Tax Reform non è ancora percepita e apprezzata nei dettagli, che si vedranno appunto solo a “linee guida” approvate.Per Antonio Tomassini, Dla, la convenzione multilaterale Ocse è l’ambiente naturale per attuare i Beps ma gli Usa non l’hanno sottoscritta. Questo si spiega perché la riforma Trump con la flat tax al 21 per cento fa giocare agli Usa una partita a se stante. Tutte le aziende italiane che hanno investimenti Oltreoceano pensano a pianificare il futuro.

Se sul fronte americano il giudizio è pertanto sospeso, meno dubbi il panel di Dla ha in materia di wex tax italiana, approvata nella legge di bilancio e in attesa - oggi forse è più corretto arguire in “sospeso” - di entrare in vigore nel 2019.

Se è vero, come ha spiegato Eugenio della Valle (Deloitte), che secondo l’Ocse le imprese digitali non hanno un effective tax rate tanto diverso rispetto alle imprese tradizionali, «più che tassare l’economia digitale dovremmo pensare a investire in tecnologia». Giovanni Iaselli, Dla Piper, ha aggiunto che lo studio recentissimo della Commissione europea individua la soluzione nella stabile organizzazione digitale; ci sono però soluzioni transitorie prima di arrivarci, certo quelle giuste «non possono essere la web tax italiana né le modifiche alla stabile organizzazione sulla presenza “significativa” che ha un quid di indeterminato e anti elusivo che cozza contro le convenzioni».A sollevare dubbi sulla costituzionalità della web tax tricolore è Antonio Martino (Dla), sia sotto il profilo della doppia tassazione che andrebbe a colpire gli “stabiliti” (tenuti anche all’”obolo” della tassazione indiretta, molto simile all’Iva), sia sotto l’aspetto della pretesa impositiva verso coloro che, non risiedendo, non dovrebbero partecipare alla spesa pubblica.

Positivo invece il bilancio sugli altri interventi fiscali. Per Andrea Di Dio, 31 interpelli sui nuovi investimenti hanno portato 10,4 miliardi e 75.000 posti di lavoro; Christian Montinari, ha ricordato che l’effective tax rate sulle aziende - fonte Banca mondiale - nel 2017 è sceso dal 62 per cento al 48. Anche se nessuno ne ha parlato in campagna elettorale.

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