Professione

Le regole delle casse restano disallineate

di Paola Bonsignore e Gianluca Natalucci

Continua il dibattito delle implicazioni sulla discordanza tra la classificazione ed il trattamento del reddito prodotto dalle società tra professionisti (Stp) ai fini fiscali e previdenziali. Se da un lato è riconosciuta la natura di reddito di impresa, dall’altro è richiesta l’applicazione e il versamento del contributo integrativo tenendo conto di una quota di partecipazione diversa dalla realtà in presenza di soci “non professionisti”.

La direzione centrale Normativa delle Entrate, con il parere protocollo 131773/2014, ha affermato che le Stp «appartengono alle società tipiche disciplinate dai titoli V e VI del libro V del Codice civile e…il reddito complessivo… è considerato reddito di impresa… con la conseguenza che le relative prestazioni non devono essere assoggettate alla ritenuta d’acconto …». Tale stralcio evidenzia che le Stp:

• generano reddito di impresa in base agli articoli 6 e 81 del Tuir;

• non applicano la ritenuta d’acconto.

Queste assunzioni, che escludono totalmente tali redditi dall’alveo del lavoro autonomo, benché aventi natura professionale, non sembrano sufficienti a risolvere le “incongruenze” sorte ai fini previdenziali. Infatti, le principali casse professionali non si sono perfettamente allineate all’anzidetto orientamento sia per quanto riguarda la fatturazione che il versamento del contributo integrativo.

Continua, infatti, ad essere richiesta alle Stp l’applicazione del 4% su tutto il volume d’affari prodotto ai fini Iva proporzionato alla quota di partecipazione dei soci iscritti all’albo escludendo dal calcolo quella relativa ai soci non professionisti. Per le casse è più rilevante l’attività esercitata piuttosto che la veste giuridica assunta; il che comporta il disconoscimento, in particolare nel caso di società di capitali, dell’autonomia rispetto ai propri soci/azionisti.

Ai fini del versamento del contributo, invece, è richiesto al professionista di determinarne l’ammontare «sulla parte del volume d’affari Iva complessivo della Stp corrispondente alla percentuale di partecipazione agli utili spettanti al professionista stesso. Nel caso in cui nella Stp siano presenti soci non professionisti, la percentuale di partecipazione agli utili deve essere riproporzionata escludendo dal calcolo la quota di partecipazione dei soci non professionisti» (articolo 9 del regolamento Cnpadc).

Ad integrazione della delibera, sui siti internet delle Casse si aggiunge che la quota dei non professionisti venga ridistribuita sugli iscritti. Tale modus operandi non solo comporta una modifica della reale quota di partecipazione agli utili, imponendo ai professionisti di versare contributi calcolati su una base imponibile superiore a quella di propria competenza, ma soprattutto sembrerebbe contrario alle norme in tema di società sia di persone che di capitali.

L'impostazione distonica assunta dalle Casse rispetto alla Dcn necessiterebbe di ulteriori chiarimenti per “sanare” giuridicamente le differenze difficilmente sostenibili di assimilare, in ambito di Stp, il reddito di impresa a quello di lavoro autonomo, che vorrebbe l'esclusione dall'assoggettamento al contributo integrativo dei corrispettivi, così come avviene per la ritenuta d'acconto, nonché della quota di volume d'affari non di competenza del professionista quale base di calcolo, che diverrebbe ancor più articolata in caso di Stp con esercizio a cavallo.

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