Diritto

Legittima la durata quinquennale della società cancellata per tutelare l’amministrazione finanziaria

Per la Corte costituzionale l’interesse fiscale perseguito dalle obbligazioni tributarie giustifica lo scostamento dalla disciplina ordinaria

di Laura Ambrosi e Antonio Iorio

È legittima la norma sulla durata quinquennale delle società dopo la cancellazione dal registro imprese: la consulta, con la sentenza 142 depositata ieri, ha escluso l'incostituzionalità della nuova disposizione anche se pone l'amministrazione finanziaria in una posizione di vantaggio rispetto ai creditori ordinari.

La questione

La Ctp di Benevento ha sollevato la questione di illegittimità costituzionale dell'articolo 28, Dlgs 175/2014. Tale norma ha disposto che ai soli fini della validità e dell'efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l'estinzione della società (articolo 2495 del Codice civile) ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione del Registro delle imprese.

Il legislatore ha così differito l'efficacia dell'estinzione della società di 5 anni solo relativamente ai rapporti con l'amministrazione finanziaria, facendo rivivere un soggetto estinto. Il giudice rimettente ha ravvisato la possibile incostituzionalità della norma sotto due profili. Innanzitutto, perché si determinerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento tra l'amministrazione finanziaria e gli altri creditori sociali, poiché questi ultimi avrebbero minor tempo per recuperare il proprio credito (articolo 3 della Costituzione). In secondo luogo, la norma deriverebbe da eccesso di delega, atteso che i principi della legge delega erano finalizzati all'eliminazione degli adempimenti superflui o di scarsa utilità (articolo 76 della Costituzione).

Il parere della Corte costituzionale

La Corte costituzionale ha ritenuto infondate entrambe le eccezioni.

L’eccesso di delega. Secondo la giurisprudenza della Consulta, la delega legislativa non esclude discrezionalità del legislatore delegato, la quale può essere più o meno ampia, in relazione al grado di specificità dei criteri fissati. L’articolo 76 della Costituzione non impedisce l’emanazione di norme che rappresentino un coerente sviluppo e, se del caso, anche un completamento delle scelte espresse dal legislatore delegante. Pertanto, occorre individuare la ratio della delega e verificare se la norma delegata sia coerente (sentenza 96/2020 e n. 10/2018). La circostanza che la norma censurata non trovi copertura in una singola disposizione della delega non è motivo, di per sé sufficiente, per integrare la violazione poiché è necessaria la verifica rispetto agli indirizzi generali della delega nella sua globalità. Con riferimento all’articolo 28 sulle società estinte, la Consulta ha confermato che effettivamente non risponde all’attuazione delle indicazioni della delega (articolo 7, legge 23/2014), che era volta alla revisione dei regimi fiscali (lettera a), all’eliminazione degli adempimenti superflui (lettera b), delle funzioni dei sostituti di imposta, dei Caf e degli intermediari (lettera c).Tuttavia, nella parte più generale il legislatore delegava il Governo ad adottare misure volte a uniformare la disciplina delle obbligazioni tributarie, a razionalizzare i poteri dell’amministrazione finanziaria anche con riguardo all’efficacia e validità degli atti di accertamento in relazione alla generalità dei tributi. Per tale ragione, quindi, non è stato ravvisato l’eccesso di delega.

La disparità di trattamento. La Corte Costituzionale, in passato, ha avuto già modo di affermare che non sono equiparabili le obbligazioni pecuniarie di diritto comune e quelle tributarie. Queste ultime, infatti, si giustificano con la «garanzia del regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato» (sentenza 281 del 2011), cui è volto il credito tributario. L’interesse fiscale perseguito dalle obbligazioni tributarie giustifica lo scostamento dalla disciplina ordinaria. Applicando tali principi, emerge che la norma sulle società estinte è volta a preservare la garanzia dell’adempimento delle obbligazioni tributarie.


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