Il CommentoControlli e liti

Mediazione tributaria da affidare a un soggetto terzo e imparziale

di Enrico De Mita

La riforma tributaria ha introdotto, all’articolo 17-bis del decreto sul contenzioso tributario (546/92), un importante, sia pur timido, rafforzamento della mediazione.

Il nuovo comma 9-bis prevede che, in caso di rigetto del reclamo o di mancato accoglimento della proposta di mediazione, la soccombenza di una delle parti, in accoglimento delle ragioni già espresse in sede di reclamo o mediazione, comporta, per la parte soccombente, la condanna al pagamento delle relative spese di giudizio.

Secondo la norma novellata « tale condanna può rilevare ai fini dell’eventuale responsabilità amministrativa del funzionario che ha immotivatamente rigettato il reclamo o non accolto la proposta di mediazione».

Si rafforza l’istituto del reclamo-mediazione come espressione del potere di autotutela dell’amministrazione finanziaria, nella tendenziale emancipazione dei co-attori della funzione impositiva, ossia dei contribuenti e degli uffici, dal giudice tributario.

Per il resto l’impianto del reclamo e della mediazione non è stato modificato né migliorato.

Come noto, l’istituto si applica alle controversie tributarie (agenzie, agente della riscossione, enti locali) di valore non superiore a 50mila euro, al netto di interessi e sanzioni e, se presenti in atto, di contributi previdenziali.

Il ricorso produce anche gli effetti di un reclamo e può contenere una proposta di mediazione con rideterminazione dell’ammontare della pretesa.

Notificato il ricorso-reclamo, per 90 giorni il ricorso è improcedibile, perché pende la procedura per la risoluzione alternativa della controversia. Decorso inutilmente detto termine, al ricorrente non rimane che iscrivere a ruolo il suo ricorso nei successivi trenta giorni.

L’esame effettivo del reclamo, con la riforma, responsabilizza l’ufficio, tanto da determinare la condanna alle spese senza eccezioni, qualora il giudizio porti alla conferma di quanto proposto in mediazione.

Ciò che appare, certamente, un rilevante intervento normativo, d’altra parte, non può soddisfare perché reclamo e proposta di mediazione non sono rimessi al sindacato e all’intervento di un soggetto terzo imparziale. Quanto agli atti delle agenzie se ne occupano «apposite strutture diverse ed autonome» da quelle che curano l’istruttoria degli atti reclamabili.

Per gli altri enti impositori la procedura stessa di mediazione è rimessa alla concreta possibilità di applicazione «compatibilmente con la propria struttura organizzativa».

Da tempo simile attuale impianto della mediazione tributaria merita di essere definitivamente superato, pena rimanere uno strumento inadeguato allo scopo perseguito.

L’esperienza della mediazione civile e commerciale insegna che lo strumento è prezioso per la soluzione delle controversie perché improntato alla piena terzietà del soggetto mediatore.

Al contrario, nella mediazione tributaria, l’organo deputato a gestire il reclamo, per quanto diverso e presuntivamente autonomo, è pur sempre un organo della stessa amministrazione finanziaria.

Il modello autoritativo, di carattere amministrativo, alternativo a quello diarchico della funzione impositiva condivisa, continua a perpetuarsi nella mediazione come finora disciplinata.

Se si vuole «mediare obbligatoriamente» – e tutti noi scorgiamo nell’espressione un’irrisolta contraddizione in termini – almeno ci si avvalga di un organo terzo che non anticipa né mima il sindacato giurisdizionale, ma per professionalità tecnica fornisce alle parti una lettura terza della fattispecie concreta all’esame e la riporta, con autonomia e imparzialità, alla norma impositiva, conformemente ai precetti costituzionali ex articoli 3, 53 e 97 della Costituzione.

La corretta attuazione dell’obbligazione tributaria esige il rispetto dei principi di uguaglianza, capacità contributiva e imparzialità dell’azione amministrativa, a partire dall’effettività del contraddittorio stragiudiziale e dall’efficienza dell’istituto della mediazione.

Questa fase può esaurire la definizione, orientare l’esercizio del potere di autotutela e l’effettività del contraddittorio che da pre-processuale e formale, qual è oggi, deve divenire mediatizio e definitorio; rimanendo l’extrema ratio del rinvio al giudice tributario.

Rappresentare il rischio di una sanzione, con il nuovo comma 9-bis, può correggere solo la trascuratezza di qualche funzionario che, quasi per stile, include il diniego alla proposta di mediazione nella stessa attività, immediata e diretta, di controdeduzione.

La mediazione tributaria, d’altra parte, richiede, più che sanzioni a carico di rari funzionari distratti, l’investitura di una Camera di mediazione tributaria, organo terzo cui il contribuente si rivolge prima di introdurre il giudizio.