Diritto

Messa alla prova dell’ente al vaglio delle Sezioni unite

di Sandro Guerra

Il 27 ottobre 2022 le Sezioni unite penali della Cassazione avranno l’occasione di fare chiarezza sull’applicabilità agli enti per gli illeciti previsti dal Dlgs 231/2001, dell’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova (articolo 464-bis del Codice di procedura penale).

La Cassazione

La quarta Sezione penale della Cassazione, chiamata a pronunciarsi sul ricorso proposto dalla Procura generale presso la Corte d’appello di Trento contro una sentenza che aveva dichiarato estinto l’illecito contestato ad una società per esito positivo della messa alla prova (e contro l’ordinanza di ammissione, della quale non aveva avuto comunicazione), con l’ordinanza 15493 del 21 aprile 2022, ha rilevato un contrasto di giurisprudenza sulla legittimazione della Procura generale ad impugnare l’ordinanza ammissiva, rimettendo alla Sezioni unite una questione preliminare: la possibilità, per il procuratore generale, di far valere eventuali vizi del provvedimento consistenti – nel caso sotto esame – nell’estensione agli illeciti previsti dal Dlgs 231/2001 di un istituto applicabile ai soli reati.
L’auspicio è che, risolta affermativamente la questione alla base dell’intervento delle Sezioni unite, si metta ordine in una materia mai approdata al vaglio del giudice di legittimità. Fino ad oggi sull’applicabilità all’ente dell’istituto della messa alla prova i tribunali hanno infatti espresso due orientamenti opposti.

Tribunali divisi

La compatibilità della messa alla prova con la disciplina del Dlgs 231/2001 è ammessa dal Tribunale di Bari (sentenza 22 giugno 2022) che ha evidenziato gli argomenti a favore dell’applicabilità all’ente, facendo leva, anzitutto, sugli articoli 34 (che dispone l’applicabilità all’ente anche delle norme del Codice di procedura penale, in quanto compatibili) e 35 (che estende all’ente le disposizioni processuali relative all’imputato, in quanto compatibili) del Dlgs 231/2001. Sì all’applicabilità agli enti anche dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Modena (sentenza 19 ottobre 2020 che non motiva però questo punto).
Più nutrita, invece, la platea di chi nega la compatibilità della messa alla prova con il sistema 231. Secondo il Tribunale di Milano (ordinanza 27 marzo 2017) l’istituto non è applicabile, poiché, in ossequio al principio della riserva di legge (nessuno può essere punito se non in forza di una legge entrata in vigore prima del fatto commesso) non è possibile rinvenire con l’interpretazione analogica la sanzione da applicare ad una fattispecie che ne sia priva e una normativa di raccordo che renda applicabile la messa alla prova agli enti non esiste.
Sulla stessa linea il Tribunale di Bologna (ordinanza 10 dicembre 2020), secondo il quale il mancato coordinamento della legge 67/2014 con il Dlgs 231 non è frutto di dimenticanza, ma è voluto dal legislatore. Secondo i giudici bolognesi, inoltre, lo svolgimento del programma potrebbe prevedere una serie di prescrizioni (ad esempio, attività di volontariato di rilievo sociale) che mal si concilierebbero con l’ipotesi di sostituzione dei vertici dell’ente, mentre il lavoro di pubblica utilità (essendo un mero costo per l’ente in quanto prestato dai dipendenti) non assolverebbe alla finalità rieducativa. Secondo il Tribunale di Spoleto (ordinanza 21 aprile 2021), consentire la messa alla prova all’ente significherebbe non tener conto dell’esistenza di una specifica disciplina in tema di riparazione delle conseguenze del reato, ma che rende inapplicabili le sole sanzioni interdittive (articolo 17 Dlgs 231/2001).

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©